
La recente serie televisiva a base di sangue e sesso incentrata sulla famiglia Borgia, che vede la presenza nientemeno che di Jeremy Irons nei panni di quello che viene generalmente ricordato come il peggior papa di tutti i tempi, ha riportato alla ribalta la figura di Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, pontefice dal 1492 al 1503 e tradizionalmente dipinto (insieme ai suoi figli, soprattutto Cesare e Lucrezia) come sacrilego, incestuoso, avvelenatore e nepotista (forse non tutti sanno però che i Borgia fornirono un altro papa, Alfonso, divenuto Callisto III e papa dal 1455 al 1458). Niente di più falso, come dimostrato da questo libro di Lorenzo Pingiotti che, documenti alla mano, contesta tutte le accuse a lui rivolte (compresa la relazione con Giulia Farnese) e sottolinea come di certo il papa spagnolo non fu di certo un modello di virtù ma non fu nemmeno quel mostro folle e spietato che la leggenda ha tramandato, anzi. Nel conclave dal quale uscì vittorioso (ricordiamo che non era l’ultimo arrivato, avendo egli ricoperto per lungo tempo la carica di Segretario di Stato) non compaiono segni di simonia, insinuati invece subito dai suoi nemici come lo storico Francesco Guicciardini e il cronista Stefano Infessura, politicamente avversi (come la potente Francia) al partito del Borgia e vicini a Giuliano Della Rovere (poi papa Giulio II), senza dimenticare l’opera delle grandi famiglie baronali degli Orsini, dei Colonna, dei Savelli e dei Caetani che si spesero senza sosta nella produzione di libelli, indiscrezioni e calunnie a base di omicidi e orge licenziose (memorabili quelle dell’incesto con la figlia Lucrezia e la vicenda di Djem, lo sfortunato pretendente al trono ottomano venuto in Europa a cercare aiuto contro il fratello e rivale Bajezit e morto di polmonite nel 1495 a Napoli dove si trovava ospite, ostaggio di Carlo VIII, che secondo la “leggenda nera” fu fatto avvelenare dal malvagio pontefice). Ci pensò poi lo storico ottocentesco Ferdinando Gregorovius a impiantare solidamente la leggenda nera borgiana, legittimando l’idea che le sue vicende fossero solo una lunga sequenza di infamie. Da cardinale, Rodrigo Borgia ebbe tre figli dall’amante (Vannozza de’ Cattanei), dal momento che, all’epoca, il cardinalato era da molti considerato una carica amministrativa che poteva essere accolta con il semplice diaconato e non vincolava al celibato. Nepotista lo fu di certo, ma nell’intricatissima politica del Quattrocento era pratica comune, e non solo nella Chiesa. Sicuramente non ricorreva al veleno per risolvere le controversie politiche, tanto più che, quando qualche avversario moriva per le diffuse febbri malariche, era facile dare la colpa al veleno. Personaggio tollerante e frugale (per tutta l’azienda domestica del papa non si spendevano che 700 ducati al mese, spese che Giulio II avrebbe fatto lievitare a 8.000 al mese), attivo sul versante urbanistico, attento ai movimenti monastici, era devoto alla Madonna ed estremamente attento alla liturgia, tanto da invitare i fedeli alla pratica del rosario (allora non molto diffusa) e dell’adorazione eucaristica (a quei tempi ci si comunicava non più di una volta al mese e ci si confessava molto di rado). Lasciava massima libertà alla satira anche nei confronti del pontefice, accolse gli ebrei cacciati dalla Spagna, cerco di contenere e regolare gli abusi dell’Inquisizione spagnola (che mal sopportava), sistemò la contesa ispano-portoghese dopo la scoperta del Nuovo Mondo e fu paziente perfino dinanzi agli attacchi del frate domenicano Gerolamo Savonarola (e non è vero che fu la sua volontà a determinare il golpe cittadino che, nel 1498, mise fino al suo governo e alla sua vita, piuttosto effetto degli odi delle fazioni fiorentine). Si trovò a fronteggiare l’invasione francese di Carlo VIII mentre tutte le signorie italiane si inchinarono e a destreggiarsi nello scontro tra angioini e aragonesi per il possesso di Napoli, puntando esclusivamente a riportare sotto il controllo diretto della Santa Sede il governo dei territori retti dai principi ribelli (e per questo utilizzò il figlio Cesare, detto “il Valentino”, spesso però ingestibile), senza cercare di estendere con l’azione militare i possedimenti della Chiesa oltre i confini che non fossero i propri, preferendo invece creare una cerniera di signorie “cuscinetto” inglobate ma al contempo separate dalle terre soggette al controllo della Santa Sede.