domenica 22 settembre 2013

Robert Bloch - Jack lo squartatore

Un romanzo su Jack lo squartatore, e per di più dell’autore di Psycho? Imperdibile, direte voi. Non proprio. È vero che questo Night of the Ripper risale al 1984, in un’epoca in cui non si era ancora invasi dalla babele di materiale sull’argomento (e soprattutto, non era ancora uscito From Hell di Alan Moore, opera talmente titanica, complessa e affascinante da chiudere ogni possibile replica o imitazione), ma la delusione è tanta. Gli omicidi sono riscostruiti nel dettaglio, attingendo alle fonti di cronaca e ai referti ufficiali, ma il resto è lasciato alla fantasia di Robert Bloch. A condurre le indagini c’è il solito ispettore Abberline, questa volta perseguitato da problemi gastrici e assistito dal dottor Mark Robinson, alle prese con una lista di sospettati a dir poco enorme che include nobiluomini, macellai, un ciabattino, un tagliatore di pelli e un folto gruppo di medici. L’autore è abile nel creare un’aria di sospetto che gravita su tutti i personaggi che entrano in scena, in modo tale da dare sempre l’impressione che l’efferato omicida delle prostitute sia uno di loro, mentre è interessante notare come non siano riportate le teorie di complotti massonici che vanno oggi per la maggiore. Al contrario, sfilino i consueti personaggi della mitologia dello Squartatore: Sir William Gull (medico della regina vittoria), il medium Robert Lees, il duca di Clarence (come al solito in odore di omosessualità e frequentatrice di prostitute nella zona di Whitechapel), l’attore Richard Mansfield, addirittura Arthur Conan Doyle, George Bernard Shaw e Oscar Wilde (definito da Abberline un “finocchio”), per non parlare di Joseph Merrick, l’Uomo Elefante. Purtroppo, Bloch crolla proprio nella ricostruzione d’ambiente, che a mio avviso è uno dei motivi principali del fascino dell’intera vicenda (una Londra infernale, e che non c’è più, nel cuore della capitale del più potente impero dell’epoca), ma anche come autore di thriller non riesce a tenere tutti i fili della narrazione, che infatti tende a sfilacciarsi e a perdere mordente, fino a un finale che ho trovato parecchio moscio. L’unico guizzo il nostro autore lo dimostra solo con l’incipit dei vari capitoli che riportano una citazione storica di atrocità, torture e violenze che vanno dal 2300 a.C. al 1887 d.C., giusto un anno prima dell’inizio dell’attività del nostro caro Jack, e che includono il solito Vad Tepes di Transilvania che impalava i suoi nemici e lo zar Ivan IV che, dal momento che si annoiava nel guardare i prigionieri girare lentamente su uno spiedo e arrostire sopra un fuoco basso, lo sostituì con una grande padella di ferro in cui venivano fritte le sue vittime; oppure l’ungherese György Dósza, capo di una rivolta contro i nobili, catturato e tenuto a digiuno per due settimane insieme ai suoi complici: «i sui carcerieri lo legarono a un tronco incandescente, gli posero in testa una corona incandescente e gli misero in mano uno scettro incandescente. Mentre arrostiva, fu mangiato vivo dai suoi seguaci affamati». Una trovata che vuole dimostrare come la violenza sia insita nel DNA dell’essere umano, e che trova conferma nel comportamento dello Squartatore.

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