domenica 20 ottobre 2013

Marjane Satrapi - Persepolis

Persepolis dell’iraniana (naturalizzata francese) Marjane Satrapi è la prova che si può fare (grande) letteratura anche con un fumetto. Anzi, una graphic novel (i cui quattro capitoli sono stati riuniti in quest’edizione Rizzoli Lizard) che, per una volta, non è stata guardata con snobismo, ma anzi è stata acclamata e pluripremiata a livello internazionale (in Francia all’autrice sono stati dedicati servizi televisivi in prima serata, interviste e recensioni su giornali e riviste, proprio un altro mondo). È un vero e proprio romanzo di formazione, che fa di una ragazza iraniana di buona famiglia il punto di osservazione privilegiato per raccontare la storia (e la tragedia) di un popolo e di un Paese, l’Iran, dalla caduta dello scià nel 1978 all’affermazione della teocrazia degli ayatollah. L’infanzia trascorsa a Teheran, con la scoperta delle torture inflitte ai parenti comunisti; la presa del potere da parte dei fondamentalisti, la limitazione delle libertà di pensiero e di espressione e l’obbligo per le donne di portare il velo (per farsi un’idea di quanto da quelle parti fossero nei guai, basti pensare che un poster di Kim Wilde rappresentava la libertà); la futile e tragica guerra con l’Iraq e la paura quotidiana per i bombardamenti; le torture e l’assassinio degli esponenti di sinistra che avevano contribuito alla rivoluzione; l’adolescenza trascorsa in esilio a Vienna, dove viene mandata in un liceo francese, a contatto con un Occidente razzista e non meno disumano dell’Oriente dal quale è fuggita via (e che almeno ha il riparo sicuro della famiglia); il ritorno in Iran con un matrimonio fallimentare («Di punto in bianco ero “una donna sposata”. Non ero stata in grado di sottrarmi al sistema che in cuor mio avevo sempre rifiutato») e lo scontro sempre più duro con l’integralismo e il fanatismo; la partenza definitiva per Parigi. Alla continua ricerca di un’identità personale e nazionale, la protagonista è doppiamente esclusa, sia nel proprio Paese dove è troppo indipendente per venire tollerata, sia all’estero dove viene vista come un’immigrata («Ero un’occidentale in Iran, un’iraniana in occidente. Non possedevo alcuna identità. Non sapevo neppure per cosa vivere»): la povera Marjane (che di suo è un bel tipino, ha la lingua lunga e disserta di politica e filosofia) è costretta a crescere in fretta, e a farlo spesso da sola, scoprendo che le questioni di cuore affrontate in solitudine sono spesso più drammatiche di una guerra affrontata con la propria famiglia accanto. Persepolis non è però un pamphlet di propaganda e neanche un’opera di denuncia: il tono dell’autrice non è mai lamentoso e, anzi, sa mantenere un tono di ironia pungente e leggerezza surreale anche quando affronta la morte, i dolori e la separazione (la piccola Marjane parla con Dio, ma lo allontana rifiutandosi di parlargli ancora quando le cose nella sua vita cominciano ad andare male), evitando ogni pesantezza didascalica o predicatoria e affidando alla figura straordinaria della nonna (quella che ogni mattina s’infila del gelsomino nel reggiseno per profumarsi) il compito di ribadire il valore della libertà, della coerenza e dell’integrità. Altrettanto indimenticabili sono i due genitori, liberi, combattivi ma sempre presenti e disposti ad aiutare. Il disegno essenziale e minimale, in bianco e nero, un po’ astratto ed elegante insieme, dà al racconto il tono di una favola senza tempo.

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