
Sarà il carisma di Kevin Spacey, sarà la scrittura raffinata, sarà la regia di (alto) livello, sarà la cura con cui è stata allestita la messa in scena, fatto sta che è veramente difficile riuscire a spiegare quanto mi è piaciuta la serie televisiva House of Cards. Basti dire che ho divorato le prime due stagioni in pochissimo tempo e mi è venuta voglia di recuperare il romanzo originale di Michael Dobbs, thriller politico di fine anni Ottanta, il primo di una trilogia (già alla base di una serie sulla BBC) che la Fazi ha pensato bene di iniziare a pubblicare in concomitanza dello sbarco in Italia della serie su Sky Atlantic. Ed ecco la prima scoperta: se in copertina troneggia Kevin Spacey (protagonista della serie tv e con le mani sporche di sangue) sui fasci littori al Congresso degli Stati Uniti, il romanzo è ambientato in Inghilterra. Il protagonista si chiama Francis Urquhart, non Francis Underwood come nella serie, ed è Chief Whip (traducibile impropriamente come “capogruppo”) del partito conservatore inglese, non di quello democratico americano. La sua carica consiste nel tenere i collegamenti tra il leader del partito e i suoi membri ma, soprattutto, di supervisionare la disciplina del partito per non pregiudicare la maggioranza di governo: questo gli permette di sapere tutti i segreti e le debolezze dei membri del partito e del governo e di utilizzarle con estrema spregiudicatezza e cinismo quando decide di prendersi la rivincita nei confronti del Primo Ministro Henry Collingridge, reo di aver bocciato la sua idea di un rimpasto che porti sotto le luci della ribalta in una situazione di difficoltà dei conservatori, che stanno perdendo un seggio dopo l’altro. Da qui parte il complesso meccanismo di rivelazioni, ricatti, tradimenti e intrecci pericolosi con il mondo dei media, il tutto ovviamente orchestrato da dietro le quinte da un vero e proprio eroe negativo che, come ha detto Aldo Grasso, è il demiurgo di una politica cattiva senza più alcuna idealizzazione, che per ottenere il suo scopo non evita di ricorrere ad alcun sotterfugio, nemmeno all’omicidio, e si ammanta di frasi lapidarie e machiavelliche come «Le amicizie politiche sono solo impressioni che si cancellano con facilità». Si capisce quindi che l’autore ha voluto riversare nella vicenda da un lato la sua esperienza personale (Dobbs è stato consigliere di Margaret Thatcher) e dall’altro il suo desiderio di vendetta, attraverso uno sguardo cinico e livido, dopo essersi dimesso al termine della campagna presidenziale del 1987, quando litigò furiosamente con la Thatcher (come spiega lo stesso Dobbs nella Postfazione). La sua è una politica fatta di scandali più o meno reali, pugnalate alle spalle, coca e rapporti sessuali (anche gay) da nascondere, nella convinzione che le persone veramente capaci sono quelle di secondo piano che si muovono nell’ombra, mentre quelli che emergono sono i meno dotati e i più manovrabili. Da non sottovalutare il peso dato al crescente strapotere dei mezzi d’informazione, soprattutto della carta stampata (e come poteva essere altrimenti nella patria dei quotidiani scandalistici), capaci di fare e disfare alleanze e candidature senza per questo evitare di dare in pasto all’opinione pubblica storie in grado di assicurare maggiori vendite: non a caso, una dei personaggi principali (Mattie Storin) è una giornalista. Al di là di questo, come narratore mostra dei vistosi limiti: fatta eccezione per il suo mefistofelico protagonista, i personaggi sono piuttosto schematici, e la tecnica dei punti di vista (che cambia troppo repentinamente a ogni capitolo) manca di una visione coesa d’insieme, insomma una cosa ben distante dal grande espediente adottato dalla serie televisiva (sia quella inglese che quella americana) di far rivolgere il protagonista Underwood/Urquhart alla telecamera in una sorta di colloquio diretto, cinico e disincantato, con lo spettatore. Proprio per la sua natura di romanzo “politico”, grande (forse troppo) spazio è dato alle cariche istituzionali e al funzionamento della politica britannica: potrebbe non piacere a tutti, ma c’è un grande apparato di note che viene in aiuto del poco ferrato lettore italiano.