giovedì 11 settembre 2014

Gustav Meyrink - Il golem

Ancora Praga, ancora golem, ancora il vecchio ghetto ebraico con i suoi cunicoli, le sue guglie e i suoi misteri, specchio del labirinto che è la psiche umana. È il caso del Golem di Meyrink, declinazione esoterico-iniziatica della famosa leggenda praghese: qui il mostro di argilla e fango ricompare ogni 33 anni per gli stretti vicoli de quartiere ebraico senza che gli abitanti lo percepiscano, preceduto e annunciato da strani segni premonitori, prendendo l’aspetto di un uomo trasandato con il viso giallastro e dai tratti mongolici (sono le paure e le angosce del popolo ebraico perseguitato a dargli corpo?). Sarebbe però meglio dire subito che non si tratta di un libro facile, anzi, si incontra difficoltà anche nel rileggerlo dopo tanto tempo, per il suo essere privo di una trama lineare e il suo riflettere lo smarrimento onirico del suo protagonista. Il golem è la narrazione (scandita dalle carte dei tarocchi, con la materializzazione più o meno esplicita di tutte le figure dei vari arcani) di uno sdoppiamento di personalità e di una percezione distorta della realtà, che intreccia continuamente sogno e immaginazione, e che prende avvio da uno scambio di cappelli che fa rivivere al protagonista, in visione, la vita di tale Athanasius Pernath, intagliatore di pietre. La causa scatenante è quindi l’intrusione di un elemento estraneo, il golem, che è solo una metafora (“L’uomo che è venuto da te e che tu chiami il Golem non è che il risveglio del trapassato a opera della vita spirituale. Ogni cosa sulla terra non è altro che un simbolo eterno incarnato nella polvere. Come fai a pensare con l’occhio?” spiega Hillel) e che si rende fisicamente presente facendo assumere le sue sembianze a una marionetta di legno intagliata, fa visita all’intagliatore sotto forma di committente che chiede il restauro della lettera I del libro Ibbur (cioè “fecondazione dell’anima”) ma entra anche nel corpo di Pernath alterandone i movimenti e i tratti del viso (e, viceversa, Pernath finisce nella stanza della casa dove si dice sia scomparso il golem): addirittura, il suo volto chiude la processione dei volti degli avi del protagonista che sfilano davanti ai suoi occhi di notte, come protezione contro la presenza minacciosa di intrusi di nazionalità degenerate (la descrizione di “un clamoroso gruppo di italiani vestiti di velluto marrone, disgustosi, tutti sudati e schiamazzanti attorno a un tavolo d’angolo a giocare a carte, che quando non calavano le loro briscole picchiando le nocche sul legno, sputacchiavano tutt’attorno per la stanza). C’è quindi il tema del doppio (“La mia immagine stava sulla soglia. Il mio doppio. In un mantello bianco. Una corona sulla testa”), della percezione extrasensoriale, dell’azione magica a distanza, delle esperienze extracorporali con diversi livelli di immedesimazione (a volte il protagonista si immedesima completamente in Pernath, altre volte si rende conto di non essere lui e si sente per questo enormemente a disagio), della lotta dei principi del bene e del male (incarnati rispettivamente dall’impiegato del municipio ebraico Hillel e dal vicino di casa Aaron Wassertrum, brutto fisicamente e moralmente), dell’imprigionamento dell’innocente (Pernath viene accusato ingiustamente di omicidio e trascorre mesi nella cella buia e angusta di una prigione) e di un simbolismo alchemico spesso oscuro (l’ermafrodito, unione perfetta dell’elemento maschile e femminile, che si sovrappone a Miriam, la figlia di Hillel che Pernath sente come completamento naturale), tutti passi obbligati verso l’illuminazione iniziatica di sé (“La chiave sta unicamente e soltanto in ciò, che nel sonno si divenga coscienti della forma del proprio io, della propria pelle per così dire e si trovi lo stretto spiraglio attraverso cui la coscienza si forza il cammino tra la veglia e il sonno profondo. [...] La lotta per l’immortalità è la battaglia per lo scettro contro i suoni e i fantasmi che ci abitano; e l’attesa dell’ascesa al trono del proprio ‘io’ è l’attesa del Messia”). Da leggere se fortemente motivati: in questo caso merita davvero.

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