lunedì 8 dicembre 2014

Paolo Gulisano, Elena Vanin - La mappa de Lo Hobbit

Ne ho già parlato QUI due anni fa ma ora che l’ho riletto, alla vigilia dell’uscita del capitolo finale della nuova trilogia di Peter Jackson, confermo la bontà di questo volumetto di Paolo Gulisano (corredato di una mappa di Elena Vanin, dipende dai punti di vista) dedicato a Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien. Non è lungo (una settantina di pagine) ed è di facile lettura, ma allo stesso tempo non è per niente superficiale o facilone: anzi, nella sua analisi di personaggi, ambienti e creature incontrati nel romanzo, inserisce ogni particolare nel contesto più ampio del Legendarium tolkieniano, pur con gli opportuni distinguo (gli elfi de Lo Hobbit sono un po’ diversi da quelli del Signore degli Anelli, perché “scherzosi e un po’ leggeri, forse per adeguarli al clima e allo stile da favola per bambini che Tolkien aveva intrapreso”), perché non bisogna dimenticare che stiamo pur sempre di un antefatto a quell’altra cosa lì (Il Signore degli Anelli) e che lo stesso Tolkien “lascia intuire che sullo sfondo di questa storia iniziata come una fiaba c’è un mondo molto più grande e scenari oscuri”. Pur senza dimenticare un approccio cristiano (basti citare i collegamenti della Montagna Solitaria del drago Smaug con la Grotta di Betlemme, “dove la Divinità divenne persona”, e il Santo Sepolcro, “dove la Vita sconfisse la morte”), Gulisano affronta, attraverso il topos del viaggio (verso Oriente), il valore universale della vicenda di Bilbo Baggins, un hobbit sedentario a cui piace mangiare, dormire, fumare la pipa e fare anelli di fumo, che si ritrova coinvolto in un’avventura piena di insidie e molto più grande di lui, ma che tuttavia, nonostante le molte perplessità e difficoltà, mostra tutte le sue qualità e non si tira mai indietro. Anzi, progressivamente la sua identità comincia ad affinarsi, a prendere consistenza e consapevolezza di sé, tanto che, al cospetto di Smaug, Bilbo ripete l’esperienza fatta con Gollum di una conversazione fatta per enigmi, con la differenza che, mentre in quel caso se l’era cavata assistito dalla buona sorte, questa volta è un interlocutore molto più pronto, più abile e sicuro di sé. Gulisano sottolinea le caratteristiche tra Bilbo e Tolkien (“persone rispettabili con una discreta posizione sociale, ma con qualche segreta inclinazione all’avventura, al sogno, per entrambi ereditata per via materna”) e di Gandalf, un po’ angelo custode, un po’ dio Odino, un po’ Mago Merlino e un po’ santo eremita evangelizzatore delle Isole Britanniche, che accompagna in questo cammino di ricerca della Verità, “magari spesso allontanandosi, scomparendo per interi periodi, durante i quali nessuno sa dove si trovi, [...] costantemente in movimento, [...] in cerca di alleati per la buona battaglia, di anime giuste, buone e coraggiose”. Perché, in questo viaggio da affrontare “senza mai deviare, pena lo smarrimento della giusta via”, c’è sempre la possibilità di ritrovare il giusto sentiero, magari grazie all’intervento di un aiuto provvidenziale. Così possiamo dire che alla fine, se non vince direttamente la sfida con il mostro, Bilbo dimostra di poter affrontare e superare ogni sfida della vita, acquisendo una profonda maturità, che non avrebbe mai potuto ottenere restando nella sua pigra esistenza nella Contea ignorando la chiamata all’avventura.

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