sabato 24 gennaio 2015

Andrzej Sapkowski - La spada del destino

Secondo capitolo per le avventure di Geralt di Rivia, il witcher (strigo in italiano) creato dalla penna del polacco Andrzej Sapkowski e trasposto da CD Projekt in una trilogia videoludica che ne ha costituito la fortuna nel mondo (se non ci fossero stati i videogiochi mai e poi mai avremmo visto questi libri uscire dai propri confini nazionali). Come avvenuto con Il guardiano degli innocenti, ci troviamo nuovamente di fronte a una raccolta di ministorie (sei) abbastanza lunghe, distanti nel tempo e nello spazio, anche se questa volta senza la cornice di raccordo: ancora una volte, nel mix di ribaltamento di canoni fantasy e favolistici e di folklore slavo operato dall’autore, mancano una mappa e delle descrizioni topografiche del mondo, ma Sapkowski dimostra di essere cresciuto come scrittore e di aver elaborato ulteriormente e più compiutamente la propria creazione. Geralt è un personaggio particolarissimo, incredibilmente carismatico, preso di prepotenza da bambino e sottoposto a una formazione durissima, ma soprattutto alla Prova delle Erbe, a cui vengono sottoposti tutti i giovani witcher (percentuale di sopravvivenza 40%), al termine della quale si è ritrovato con un corpo più agile e più forte di un normale essere umano, con la capacità di vedere al buio e di vivere più a lungo, ma anche con effetti collaterali piuttosto fastidiosi come la sterilità e dei cambiamenti fisici più o meno evidenti (nel caso di Geralt i capelli bianchi e le pupille tagliate come i gatti), cose che continuano a causargli non poche discriminazioni in un mondo razzista dove gli uomini si sono imposti a danno delle altre razze (nani ed elfi), che vengono discriminate e trattate di malavoglia. In quanto strigo deve andare in giro per il mondo (spesso accompagnato da Ranuncolo, l’estroso bardo rubacuori in cui si imbatte quasi per caso) a uccidere mostri con una spada d’argento (la maggior parte dei mostri è vulnerabile all’argento), avvalendosi della magia, in particolare con cinque segni, e di particolari pozioni create grazie alla sua conoscenza alchemica. È guidato da un particolare codice etico che gli impedisce di uccidere creature intelligenti se innocue e gli impone di cercare prima di spezzare gli incantesimi che in alcuni casi hanno trasformato le persone in mostri. Proprio qui sta la natura particolare di Geralt: tutti pensano che, in quanto mutante e cacciatore di mostri di professione, sia un essere che è stato privato delle proprie emozioni e che dovrebbe obbedire ai compiti che gli vengono assegnati (anche i più strani) senza pensare, ma in realtà è un essere dotato di sentimenti, che ama e prova emozioni, che nutre dei dubbi («I dubbi sono una cosa umana e buona. Solo il male non ne ha mai») e cerca il senso della propria vita, ama le donne (anzi, ogni donna mette sempre più a nudo le sue contraddizioni) ma soprattutto ha capito che spesso gli uomini che si rivolgono a lui sono mostri peggiori di quelli che uccide. Anzi, se c’è un messaggio forte che emerge dall’opera di Sapkowski che anche le creature non umane possono avere un posto nella società e contribuire a migliorarla; di contro, troviamo una serie di personaggi disillusi ed eroi improbabili che, nell’impossibilità di definire cosa sia il bene e cosa sia il male, sono costretti a scendere a compromessi. La prima storia, I limiti del possibili, per esempio, è centrata sulla battuta di caccia a un drago dorato, creatura estremamente rara, da parte di una serie di personaggi (oltre al nostro strigo, alla bella maga Yennefer e al bardo Ranuncolo) che riprendono e rovesciano i luoghi comuni del fantasy (un mago ecologista, un devoto cavaliere senza macchia e senza paura fanaticamente accecato dalle proprie certezze, una banda di irriducibili mercenari, un giovane sovrano desideroso di gloria e prestigio da aggiungere alla sua forza economico-bellica per far colpo su una principessa). I turbolenti rapporti tra Yennefer e Geralt continuano a essere al centro del successivo racconto Una scheggia di ghiaccio, che fa riferimento al nome elfico della cittadina di ambientazione (Aedd Gyrnvael) e al cuore della bella maga, contesa anche da un altro uomo, un mago, a cui la liberale ma spietata Yennefer si è spesso concessa. Con la morte nel cuore si passa a Il fuoco eterno, storia di tutt’altro tono e ambientata nella città commerciale di Novigrad, dominata dal fosco oltranzismo religioso del seguaci del culto del Fuoco Eterno: Geralt e Ranuncolo (incontrato senza pantaloni dopo la brusca conclusione di un’avventura con una fanciulla del luogo) si imbattono in un mimik (o doppler), mutaforma che può assumere le sembianze di chiunque incontri (compresi vestiti, oggetti e personalità) e che, in questa circostanza, ha replicato un mercante mezzuomo (un vero hobbit tolkieniano, con tanto di piedi pelosi). L’antipatico e lagnoso mezzuomo è convinto di essere rovinato perché il mimik ha fatto affari al posto suo e invece scopre che quest’ultimo è un genio del commercio e che l’ha fatto diventare ricchissimo; in una girandola di travestimenti e scambi di persona, stupisce il confronto tra lo strigo e lo strano essere, che per il suo essere bonario non riesce a imitare quello che non capisce, l’oscurità di Geralt. Un piccolo sacrificio è una variazione sul tema della Sirenetta di Andersen, con il nostro strigo interprete tra la bella sirena Sh’eenaz e re Agloval, sovrano di un regno di falesie e rocce affacciato sul mare («Nella mia ballata la sirena si sacrifica per il principe, cambia la coda di pesce in due belle gambe, ma a prezzo della perdita della voce. Il principe la tradisce, la abbandona, e allora lei muore di dolore, si trasforma in spuma marina mentre i primi raggi di sole…» spiega Ranuncolo, al che Geralt risponde: «Chi crederà a queste frottole?»). L’impossibile amore tra questi due singolari personaggi (nessuno dei due disposto a venire incontro all’altro facendo un sacrificio e rinunciando alla propria coda o alle proprie gambe) fa da contraltare all’amore altrettanto impossibile tra Geralt e Essi, detta Occhietto, giovane donna bardo amica di Ranuncolo, personaggio assolutamente non banale o prevedibile. Il racconto successivo è quello che dà il titolo al libro (La spada del destino) e vede il nostro eroe imbattersi in una volitiva principessina scampata a un matrimonio imposto che si aggira in una pericolosissima foresta primordiale difesa strenuamente dalle driadi (apparentemente spietate ma molto meno degli umani): si tratta della bambina che si dice sarebbe nata alla fine del racconto Una questione di prezzo del precedente volume Il guardiano degli innocenti e che è stata promessa a Geralt in cambio dei suoi servigi, destinata a legarsi indissolubilmente con l’esistenza dello strigo. Nell’ultimo racconto, Qualcosa di più, Geralt salva un mercante dall’assalto di creature antropofaghe ma rimane seriamente ferito: durante la convalescenza perde più volte conoscenza, rivivendo episodi con le donne del suo passato (Yennefer, la regina Calanthe, una misteriosa guaritrice, e una misteriosa fanciulla che lo segue) fino al ricongiungimento finale con Ciri, vero e proprio destino del nostro eroe. Può scoraggiare la propensione a disquisire di problematiche filosofiche da parte di tutti i personaggi, ma è anche una delle chiavi di lettura e delle attrattive dell’opera. Da non perdere per chi vuole un fantasy maturo, spiazzante e profondo.

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