lunedì 15 febbraio 2016

Daniel Pennac - La fata carabina

Sebbene sia uno degli scrittori più conosciuti e adorati del globo, Pennac per me era un assoluto sconosciuto. Già questo mi fa partire male. Se poi consideriamo che per iniziare ho scelto il secondo capitolo del Ciclo di Malaussène, saltando completamente il primo (Il paradiso degli orchi), la frittata è fatta. Logico che quindi che, da profano, mi mancassero alcuni elementi, ma ho deciso ugualmente di affrontare la lettura di questo La fata carabina, romanzo troppo strano e particolare per essere catalogato secondo un genere di appartenenza, come si vede già dal ribaltamento presente all’inizio con l’omicidio di un poliziotto da parte di una vecchina. La trama è complessa e mette insieme diversi equivoci (uno strano caso di tossicodipendenza da parte di persone di una certa età, un serial killer che uccide vecchiette a colpi di rasoio, una donna che viene gettata da un ponte vicino al commissariato di polizia) che si verificano nel quartiere-cittadina di Belleville a Parigi, popolato di razze meticce e sovrapposte, e vedono coinvolto il protagonista della nostra storia, Benjamin Malaussène, di mestiere capro espiatorio (per conto delle Edizioni del Taglione) che prende su di sé le sfuriate degli altri. Vive in una famiglia allargata che è una specie di comune, prendendosi cura dei fratellastri che gli vengono periodicamente scaricati dalla madre, viaggiatrice eccentrica che sforna figli a ripetizione sempre da uomini diversi (qui si aggiunge una nuova sorellina, Verdun, a cui viene dato questo nome in ricordo di un vecchietto veterano dell’omonima battaglia). In aggiunta, c’è un grosso cane che soffre di epilessia e una fidanzata giornalista d’assalto che scompare e dà al nostro ben più di una preoccupazione. Soprattutto, in quanto imputato di colpe non proprie, Malaussène è il capro espiatorio perfetto per fatti di cronaca apparentemente inesplicabili sui quali indagano il commissario Cercaire e gli ispettori Rabdomant, Pastor e Thian (che indaga sotto le mentite spoglie di una vecchietta vietnamita). Pennac mescola thriller e umorismo nero, con tocchi noir e pulp, e se nella prima parte si fa fatica a imparare a conoscere personaggi grotteschi e strampalati e a seguire tutti i fili di una narrazione non immediata («Un mondo dove dei serbo-croati latinisti fabbricano donne-killer nelle catacombe, dove vecchie signore ammazzano gli sbirri incaricati di proteggerle, dove librai in pensione sgozzano per la gloria delle Belle Lettere, dove una cattiva ragazza si defenestra perché il padre è più cattivo di lei»), nella seconda il ritmo si fa più sostenuto fino all’inaspettato (e felice) finale. Molto interessante si rivela la scrittura: Malaussène è il protagonista che racconta le vicende in prima persona, con tanto di timori e sfoghi espressi contro Dio, ma le sue avventure riguardano solo una parte della narrazione, che si estende agli ispettori di polizia (soprattutto Pastor) e alle loro indagini, raccontate in terza persona (per non parlare delle sezioni scritte come una sceneggiatura). La voce di Malaussène diviene quindi una specie di “voce collettiva” che fa da collante alle vicende, in conformità alla sua funzione di capro espiatorio. In più c’è un grande e dichiarato amore per la letteratura e la lettura come puro piacere (il vecchio e misantropico ex libraio Risson che ogni sera racconta, facendolo vivere, Guerra e pace ai fratelli di Malaussène), capace di trasformarsi in realtà con il passaggio di consegna finale in cui sarà Thian a raccontare gli avvenimenti a cui tutti quanti hanno preso parte e ormai divenuti romanzo (La fata carabina, appunto). Folle ma ambizioso.

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