venerdì 19 febbraio 2016

Monaldo Leopardi - Monaldo e Pulcinella

Tutti conoscono (e forse odiano, a causa della scuola) Giacomo Leopardi, il maggior poeta italiano dell’Ottocento, ma pochi conoscono Monaldo Leopardi, suo padre, un personaggio che, proprio negli anni in cui stava diventando di moda parlare di costituzione, si professava inflessibilmente reazionario e sostenitore dell’assolutismo monarchico. Fu letterato anche lui, come prova questo libretto su cui ho avuto modo di lavorare per Fede & Cultura, Monaldo e Pulcinella, che raccoglie vari dialoghetti allegorici, grotteschi e paradossali con cui il nostro smonta i dogmi impartiti dalla filosofia e dalla propaganda rivoluzionaria e sovverte il comune modo di pensare secondo cui il paese della libertà coincida con quello della cuccagna (da qui il sottotitolo Dialoghi sui rischi della libertà). Curata da Roberto Marchesini (che ha scritto anche l’introduzione, curiosamente intitolata Il gallinaccio e il trippaccino), l’opera si incentra soprattutto sul Viaggio di Pulcinella (titolo originario Viaggio di Pulcinella. Trattenimento scenico recitato al mondo di oggi per far ridere il mondo di domani), un immaginario viaggio in nove scene di un immaginario Dottore, intellettuale dalle posizioni liberaleggianti, che lascia Napoli per sfuggire all’assolutismo borbonico e approdare in Francia, terra della libertà dove il popolo è apparentemente sovrano. A fargli compagnia troviamo Pulcinella, personificazione del senso comune, cioè quell’insieme di quelle verità che ogni uomo percepisce come giuste e vere anche se non se ne rende razionalmente conto. Con un stile polemico e disincantato, Leopardi mette in scena tutta una serie di personaggi simbolici e allegorici (il finanziere esoso, il militare irragionevole, il proprietario derubato, il giornalista senza scrupoli, l’ideologo fintamente democratico) attraverso cui attacca qualsiasi principio rivoluzionario, colpevole secondo lui di aver portato allo sperpero di denaro pubblico (con salari di sussistenza garantiti a chi non se li merita), all’aumento delle tasse, alla coscrizione obbligatoria, al disinvolto ricorso alla guerra, al declino dei mestieri e del commercio, alla concessione dell’asilo politico a tutti (per portare in futuro disordini e rivendicazioni), alla moltiplicazione di dazi e monopoli (per finanziare la burocrazia di Stato), alla soppressione delle identità locali e all’indifferenza religiosa. Così il viaggio del Dottore e di Pulcinella termina con una precipitosa fuga dal paese della libertà (la Francia) verso il paese dell’assolutismo ingiustamente calunniato (il Regno delle Due Sicilie), e lungo la strada i due incontrano l’Esperienza, che consegna loro una lettera per i re della terra scritta per lei da un certo 1150, alter ego dello stesso Monaldo (1150 in numeri romani diventa MCL, ovvero Monaldo Conte Leopardi). Ci sono poi altri dialoghetti tra Voltaire e Lafayette, tra un filosofo liberale e un assassino («Sicuro che voglio assassinarti, ma vogli farlo secondo le regole, e ti voglio convincere che gli assassini ragionano meglio dei filosofi liberali»), tra una donna filosofa e una donna cristiana, e infine tra lo stampatore e lo scrivano (lo stesso autore che spiega di aver scritto questi dialoghi perché «il mondo è affamato di verità, e per quanto il padre della bugia con tutta la sua figliuolanza si siano maneggiati a screditarla, gli amici della verità sono più di quanto si crede»). Inutile lamentarsi per la lingua difficile e farraginosa: si tratta di un’opera scritta quasi 200 anni fa, e l’italiano è molto cambiato da allora.

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