lunedì 24 ottobre 2016

Hilary Mantel - La storia segreta della Rivoluzione. Prima Parte

Due volte vincitrice del Booker Price tra il 2009 e il 2012 per i suoi romanzi sull’era Tudor, all’inizio degli anni Novanta Hilary Mantel si è cimentata con la Rivoluzione francese dedicandole un romanzone intitolato A Place of Greater Safety e incentrato su tre delle sue figure principali: Maximilien Robespierre, George Danton e Camille Desmoulins. L’opera, portata in Italia da Fazi, è stata divisa in tre parti per evidenti ragioni editoriali (scarse vendite a fronte di un elevato impegno economico per un romanzo storico su un periodo poco conosciuto) e intitolata La storia segreta della Rivoluzione. Questo primo volume inizia con la nascita dei nostri tre eroi e arriva fino alla convocazione degli Stati Generali e alla presa della Bastiglia, quando cioè in Francia «nelle casse dello Stato c’erano entrate erariali sufficienti a coprire un quarto delle spese di un solo giorno». Insomma, non bisogna aspettarsi il Terrore e la ghigliottina, almeno in questa fase. Piuttosto, qui la Mantel cerca di spiegare chi erano gli artefici della Rivoluzione, raccontandone la nascita, l’infanzia e la giovinezza: Desmoulins a Guide in Piccardia, Danton a Arcis-sur-Aube e Robespierre ad Arras. Robespierre e Desmoulins studiano al collegio Louis-Le-Grand di Parigi, visitato da un Luigi XVI che non ha nemmeno la pazienza di far terminare il discorso pronunciato dal piccolo Robespierre. Ritroviamo Desmoulins e Danton a Parigi a fare politica presso rinomati avvocati («la legge è un’arma»): il primo, balbuziente, giornalista provocatore e sospettato di essere omosessuale, finisce per chiedere in moglie Lucile, la figlia della sua amante; il brutto ma affascinante Danton invece si sposa. Desmoulins e Robespierre si ritroveranno quindi rappresentanti del Terzo Stato agli Stati Generali, proprio mentre sta per deflagrare la violenza popolare (la decapitazione del governatore della Bastiglia per mezzo di un coltellino viene descritta nei minimi dettagli). La Mantel non spiega i suoi personaggi ma preferisce mostrarli in movimento, facendo emergere dai loro gesti i tratti (anche meno noti) del loro carattere, le paure e le ambizioni che ne condizionano i comportamenti; abbatte il confine tra pubblico e privato, fa smarrire il lettore saltando da un personaggio all’altro, usa il flusso di coscienza che trasforma le descrizioni in brani inseriti tra le riflessioni di un personaggio e una discussione. Ne risultano tre personalità ambigue e complesse, che passano da modeste ambizioni di provinciali giunti a Parigi per fare carriera a un impegno politico sempre più idealista: contraddistinti da uno spirito ribelle e da una certa insofferenza all’ordine costituito, in lotta con la propria classe sociale, il proprio carattere e le proprie famiglie (con conflitti irrisolti con l’autorità paterna), tutti e tre vengono dalla borghesia di provincia e sono costretti a muoversi entro i limiti angusti e marginali delle carriere e delle professioni riservate loro dall’Ancient regime, che ancora vive del riflesso della corte di Versailles. Sognano di nobilitarsi attraverso il lavoro e il matrimonio (non è un caso che cambino anche le grafie dei loro cognomi, Danton che diventa d’Anton o D’Anton, Robespierre che diventa de Robespierre), si scontrano con la pletora di profittatori e opportunisti che sono lo specchio di una società marcia (vengono mostrati gli egoismi di un’aristocrazia arrogante e la miseria del popolo), cominciano a mettere in dubbio le regole su cui quella società si fonda e a sognare un mondo più giusto («Chiunque, un chiunque qualsiasi a cui non piacete e vi vuole togliere di mezzo può andare dal re con un documento – “firmate qui, Vostra Minchioneria” – ed ecco fatto, in catene nella Bastiglia»). In fin dei conti, siamo ancora in pieno assolutismo, un sistema sociale in cui, come ricorda la Mantel, il re era il centro dello spettacolo della corte e «ogni evacuazione, ogni atto sessuale, ogni respiro era passato al vaglio pubblicamente». L’autrice tratteggia piuttosto bene Luigi XVI («Rifiutandosi di prendere delle decisioni, sperava di evitare gli errori; pensava che se non s’intrometteva, le cose sarebbero andate avanti come sempre») e regala una riflessione non banale sulla fame nella dinamica rivoluzionaria: «L’essenziale è capire il pane: epicentro della speculazione, cibo su cui si fondano tutte le teorie di quel che avverrà poi. A quindici anni di distanza, il giorno in cui cadrà la Bastiglia, a Parigi il prezzo del pane sarà il più alto degli ultimi sessant’anni. Dopo vent’anni (quando sarà finito tutto) una donna della capitale dirà: “Sotto Robespierre scorreva il sangue ma la gente aveva il pane. Forse per avere il pane è necessario spargere un po’ di sangue”». A sfilare, accanto ai tre personaggi principali, personaggi noti e meno noti, tra i quali Voltaire, Necker, Mirabeau e Laclos, l’autore delle Rivelazioni pericolose qui al seguito di Luigi Filippo duca d’Orléans.

2 commenti:

  1. Mi fa piacere la riflessione finale, sono un po' stanco di leggere in ogni romanzo la solita contrapposizione filmica Danton buono e alla buona, Robespierre moralista e pertanto cattivo. Peccato per il titolo italiano, dal nome sembra un testo complottista...

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  2. Qui questa contrapposizione non c'è tanto, anzi, i due si differenziano solo per i modi di fare (grezzo ma fascinoso Danton, algido e distaccato Robespierre). Magari poi le cose cambieranno nel secondo capitolo, ma per ora il più arrabbiato sembra Desmoulins.

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