mercoledì 23 novembre 2016

Stratford Caldecott - Il fuoco segreto

È molto difficile contestare le letture di Tolkien, soprattutto in Italia, dove le nuove letture progressiste “di sinistra” (più attente al contesto internazionale della critica tolkieniana) attaccano quelle tradizionaliste/evoliane “di destra” (fenomeno tipicamente italiano) e i sostenitori di queste ultime si offendono rivendicando la primogenitura per aver importato per primi lo scrittore inglese nel nostro Paese: Tolkien era un antimodernista, un conservatore, un anticomunista, quindi era dei loro (sì, come no). Non parliamo poi delle letture confessionali, che prendono a pretesto la profonda fede cattolica dello scrittore e la sua devozione mariana per tramutarlo in un catechista e in un apologeta: è questo il caso del deludente volume Il fuoco segreto del compianto Stratford Caldecott, per il quale l’intera opera tolkieniana (soprattutto Il Signore degli Anelli) rimanda o allude a dogmi di fede e a personaggi biblici, con abbondanza di riferimenti a San Paolo, San Filippo Neri e Teresa di Lisieux. Può veramente il passaggio delle Paludi Morte da parte di Frodo e Sam richiamare il giardino del Getsemani? La fiamma di Anor custodita da Gandalf è veramente il fuoco del roveto ardente di Mosè? Si potrebbe andare avanti a lungo: il pan di via elfico rappresenta l’eucarestia, gli eventi che seguono la distruzione dell’Anello sulle pendici di Monte Fato ricordano l’Apocalisse, l’aiuto che Sam offre a Frodo nel portare il fardello richiama l’aiuto del Cireneo costretto dai soldati romani a portare la croce di Cristo quando essa era diventata troppo pesante. Per non parlare dei personaggi, che rifletterebbero tutti (Frodo, Gandalf, Aragorn) temi cristologici. Sono il primo a essere un cattolico credente e fervente, e siamo tutti d’accordo nel dire che l’opera tolkieniana è attraversata da una profonda spiritualità (il concetto di elficità come desiderio di bellezza, libertà e infinità, in ultima analisi di trascendenza) e da tematiche come la Provvidenza, la caduta, la Grazia e il perdono in senso cristiano. Da qui a dire che Tolkien scriveva catechismo però ce ne passa, soprattutto perché Tolkien odiava dichiaratamente l’allegoria: Galadriel può sicuramente avere tratti della Vergine Maria, ma di certo non si esaurisce in essa (tanto più che Galadriel nella mitologia tolkieniana non è affatto immune da colpa, visto che si trova nella Terra di Mezzo per espiare la sua partecipazione alla ribellione di Fëanor narrata nel Silmarillion). Intendiamoci, Caldecott non è un cialtrone (conosce la materia a menadito e abbonda di riferimenti e spiegazioni), ragiona sul rapporto paganesimo-religione rivelata e chiama in causa la dottrina dell’universo sacramentale del gesuita francese Jean-Pierre de Caussade, ma la sua lettura risulta ormai obsoleta alla luce dell’eccezionale Santi pagani nella Terra di Mezzo di Tolkien di Claudio Antonio Testi, che sulla stessa problematica si dimostra mille anni luce avanti. È una lettura chiusa, che esaurisce l’interpretazione dell’autore ancorandolo a una confessione e a una dogmatica, negandone qualsiasi altra lettura (invece il fascino di un’opera sta nel prestarsi a diverse interpretazioni, anche contrarie tra loro); come quella junghiana, posta in Appendice, che legge Il Signore degli Anelli come un racconto dell’individuazione dell’Ovest, cioè della guarigione dell’anima dell’Occidente che può giungere solo affrontando, integrando e dissolvendo l’Ombra. In questo percorso, alcune figure archetipiche (tipo Gandalf, l’anziano saggio) fanno da guida alla psiche; l’Anello sarebbe il falso sé, quello che vincola e non libera. Caldecott riconosce che «la missione dell’Anello viene presentata fin dall’inizio come un processo spirituale che va attraversato, come un viaggio fisico fra le avversità e il pericolo», ma esclude la lettura psicologica in quanto lo spirito trascende la psiche, e la fa seguire da un richiamo (o forse sarebbe meglio dire un monito) neo-arturiano alla monarchia sacra (dimenticando tra l’altro che per Tolkien il mito di re Artù era troppo inquinato dal cristianesimo e privato dei suoi originali elementi celtici e pagani). Bizzarro è poi il tentativo di accostare Tolkien al distributismo sostenuto da Chesterton e Belloc, anche se lo stesso Caldecott ammette non esisterne prova rintracciabile: secondo questa lettura, la Contea sarebbe un modello di società distributista fondata sulla famiglia, sulla sussidiarietà e sulla libera imprenditorialità.

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