lunedì 12 dicembre 2016

Walter Scott - Rob Roy

Reduce quest’estate da un’escursione giornaliera in Scozia sui luoghi di Rob Roy, passando per Glasgow, Loch Lomond e Aberfoyle (con il Parco Nazionale dei Trossachs), ho rimesso mano al romanzo di Walter Scott da me curato e ripubblicato da Gondolin per una generale correzione/sistemazione in vista di una ristampa che credo avverrà in gennaio. Spiace dirlo visto che sono parte in causa, ma effettivamente gli errori rimasti erano davvero tanti: non ci sono giustificazioni, visto che poi una persona che compra il libro poi non si trova la patch correttiva che gli sistema gratuitamente il libro dopo un po’ di tempo come avviene con i videogiochi. A parziale giustificazione posso addurre la motivazione che un lavoro del genere è stato fatto per passione (del sottoscritto) nei ritagli di tempo e che la revisione è stata fatta male (o non è proprio stata fatta, a seconda dei punti di vista). Siccome però ci tengo perché credo alla bontà del progetto (sono anche al lavoro per ripubblicare Waverley, sempre di Walter Scott), ho tentato di metterci una pezza, e così mi sono ripassato tutto il libro. Innanzitutto devo dire che la parte ambientata nella cattedrale di Glasgow è veramente incredibile: recandomi lì di persona ho potuto vedere il cimitero con le lapidi fuori dell’entrata e la cripta dove nel romanzo si tiene il culto presbiteriano, tale e quale alle descrizioni di Scott. Peccato che oggi Aberfoyle (dove ho perfino comprato un’edizione locale del romanzo per poche sterline) non sia più un borgo tribale come nel XVIII secolo ma si sia trasformata in un fiorente centro turistico per escursioni con pub, salumerie e negozi di oggettistica, ma la suggestione (specie per uno come me) è comunque tanta. Senza ripetere quanto già scritto QUI in occasione della prima pubblicazione dell’opera, aggiungo solo alcune riflessioni. Innanzitutto, che si tratta di un classico romanzo romantico, intriso di quello spirito da “invenzione della tradizione” di cui parla Hugh Trevor-Roper e che ha trasformato la Scozia in una terra pittoresca abitata da poetici guerrieri in kilt, tartan, plaid, claymore e cornamuse: una visione tipicamente ottocentesca e vittoriana di cui Walter Scott è il principale artefice, patrocinatore di una nuova Scozia unionista e fedele agli Hannover pur mantenendo le proprie specificità. Soprattutto, una Scozia pacificata dopo le rivolte giacobite e modernizzata, al passo coi tempi dal punto di vista sociale, economico e religioso. Basta clan, basta giacobiti e soprattutto basta cattolicesimo, anche se sarebbe il caso di dire che quella dei clan cattolici è una panzana bella e buona, visto che il 70% dei soldati dell’esercito giacobita nella rivolta del 1745 era fedele alla Chiesa episcopale di Scozia, quindi era protestante. Questa impostazione si vede già nella narrazione in prima persona di un protagonista ormai vecchio, molte decadi dopo rispetto agli eventi narrati, come se Scott abbia voluto stabilire una grande distanza tra il presente di una Gran Bretagna unitaria e pacificata e quella barbarica dei clan scozzesi e della rivolta giacobita. Non a caso Frank Osbaldistone è cresciuto in una famiglia che, per parte di padre, ha rifiutato la sua origine nobiliare, cattolica e giacobita per abbracciare costumi e credenze del ceto medio mercantile (finanziario e protestante). Per giunta i giacobiti non ci fanno nemmeno una grande figura, visto che i bifolchi cugini di Osbaldistone Hall nel Northumberland sono ubriaconi, giocatori, fanfaroni e perditempo; solo la bella del romanzo, Diana Vernon, è un personaggio positivo nonostante la militanza giacobita e cattolica, ma si salva in quanto intraprendente e spigliata, a volte ai limiti dell’insolenza, e assume i tratti dell’eroina romantica prigioniera di un passato e di un segreto inconfessabile. C’è una differenza netta tra la Londra commerciale e il nord primitivo che rifiuta l’Unione tra Scozia e Inghilterra e i principi del libero mercato: perfino Glasgow, dove si svolge parte della vicenda, è una città in crescita e avviata alla modernità commerciale grazie ai traffici col Nuovo Mondo, avversa all’organizzazione dei clan. Questo non significa però che tutti i mercanti siano buoni, come dimostrano gli scorretti e odiosi MacVittie e MacFin, subito pronti a tradire la fiducia del padre di Frank e a gettare il suo emissario in carcere per debiti: l’onore, di cui il mondo barbarico dei clan è ideologicamente imbevuto e che viene sempre tirato in ballo, non è sparito ma è stato ripensato a uso e consumo della borghesia mercantile (come spiega il balivo Jarvie: «Non voglio che qui si parli di onore: sappiamo solo quello che riguarda il credito. L’onore è causa di sangue e di delitti e provoca risse nelle strade, mentre il credito è fonte di pace e di vita onesta e tranquilla»).

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