domenica 8 aprile 2018

Filippo Facci - Uomini che amano troppo

Non ho una così grande esperienza in faccende sentimentali per poter dire la mia sull’argomento ma posso solo constatare che gli uomini non se la passano bene. Almeno stando alla lettura di questo Uomini che amano troppo del giornalista Filippo Facci, oggetto di una famosa stroncatura di Selvaggia Lucarelli (che gli ha comunque riconosciuto «un innegabile pregio: si legge in 10 minuti. Parecchio più della durata media dal maschio moderno») che alla fine sembra una specie di Sex and the City al maschile o un trattato di sociologia e psicologia spicciola per uomini complessati, inadeguati, egocentrici ed egoisti, logorati dallo stress della vita moderna, che guardano al sesso come unica via di salvezza e valvola di sfogo; ma soprattutto una gigantesca guerra contro la solitudine e la presa di coscienza dei propri limiti e del tempo che passa. Una serie infinita di casi umani da luogo comune, tutti accomunati da una grande miseria, a partire dall’uomo che sogna una botola da cui far cadere la partner dopo la scopata per togliersela di torno il prima possibile. Ecco quindi sfilare gli uomini-tipo in camera da letto: il koala, che si aggrappa alla donna come all’eucalipto; il pavone, che mette in mostra gli addominali; il gufo, che arriva sempre di notte; il falco, che non conosce il significato dei preliminari; il geco, perennemente immobile; il gambero, che comincia una storia con entusiasmo e subito inizia a fuggire; il cane morto, che dopo l’amplesso giace nel letto immobile e non si schioda più, pensando di contare qualcosa. Facci registra tutti gli infantilismi e le contraddizioni di un genere maschile devastato e intimidito dal gentil sesso («Era una donna vera e io d’un canto mi sentivo un uomo vero. Forse avrei dovuto stuprarla») e dà voce a uomini insofferenti, traditori o traditi, depressi per essere stati lasciati, che dissertano sulle dimensioni del pene, che prendono il viagra e cercano di darsi delle giustificazioni, che ci provano agli aperitivi, che devono ascoltare le donne parlare per poterci andare a letto, che le stendono parlando di Rachmaninov e poi le accusano di essere delle scaldamutande, che le stordiscono con la cultura o con i sogni, che accusano le ex di essere delle troie o le prede di essere delle fighette. C’è quello che disprezza le modelle perché troppo magre e sogna le donne gonfiabili, ma allo stesso tempo segna sull’agenda il numero di seghe e si mette a dissertare sulla cadenza stagionale della masturbazione maschile (d’estate lo si fa di più perché il caldo provoca una vasodilatazione e le donne provocano di più spogliandosi), oppure fantastica sulle orientali che amano il petto villoso e l’uomo ben dotato; c’è quello che 23 anni prima ha aspettato sotto il portone al freddo che i genitori di lei andassero al cinema per salire di nascosto e 23 anni dopo d’inverno aspetta sotto il portone che il bambino si addormenti e lei resti sola (altrimenti il bambino lo vede e poi lo riconosce); c’è quello che preferisce la donna ignorante e animalesca, perché quella intelligente non eccita; c’è l’incompreso che accusa le donne di correre dietro agli stronzi; c’è quello  cui non gli tira più perché è stato mollato dalla fidanzata e si rifugia dall’altra («dalla mia crocerossina col reggicalze, la mi bambola di riserva, […] belloccia, ignorante, discretamente stupida e ossequiente a una cultura che ti vuole subordinata»); quello che “dopo i trenta cambia tutto e parte il grande troiaio” e accusa le trentenni di aver smarrito i sogni e gli ideali tradendo in allegria senza rinunciare alle sicurezze; quello che sogna l’amore tenero e totale per mettersi a nudo e ricevere sicurezza («Ti vorrò un bene dell’anima, e a quel punto dovrò trovarmi una grezza in giarrettiera con cui scopare»). Alla fine (ma anche prima) quasi ci si mette a piangere. Pensare che almeno in un ritratto maschile di questo libro ci possa essere qualcosa di tutti noi mi ha fatto veramente rabbrividire.

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