domenica 22 luglio 2018

J.K. Rowling - Harry Potter e il Calice di Fuoco

La rilettura di Harry Potter procede e giunge al quarto capitolo, Harry Potter e il Calice di Fuoco. Mi sono già espresso al riguardo QUI ben dieci anni fa ma, visto che di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, mi sento di aggiungere qualche riflessione. A differenza degli altri tre capitoli che seguono lo stesso schema, dall’inizio dell’anno scolastico fino ad arrivare pian piano alla risoluzione di un mistero che coincide con la fine della scuola, la struttura questa volta è più complessa e riflette l’entra nell’adolescenza (Harry ha i primi palpiti d’amore per Cho Chang, personaggio abbastanza marginale, ma ci sono anche le prime scaramucce tra Hermione e Ron). Questo quarto capitolo sacrifica quindi (fortunatamente) gli elementi di magica quotidianità che sono stati caratteristici della saga: via gli zii di Harry, le lezioni di magia sono ridotte al minimo indispensabile, il quidditch è limitato alla scena iniziale della grandiosa finale della Coppa del Mondo, mentre la vicenda è focalizzata sul Torneo Tremaghi, una gara tra le principali scuola europee di magia (Hogwarts, Beauxbatons e Durmstrang). Vista la pericolosità delle prove, possono parteciparvi solo gli studenti maggiorenni dell’ultimo anno, eppure qualcuno riesce a stregare il Calice di Fuoco che vigila sul rispetto delle regole e sceglie i rispettivi campioni, uno per scuola: Harry è il secondo campione di Hogwarts. Silente e altri pensano che Voldemort voglia uccidere Harry durante una delle prove, sospetto confermato dall’evocazione del Marchio Nero, simbolo dei Mangiamorte (i sostenitori di Voldemort), durante la finale della Coppa del Mondo di quidditch, e dal fatto che Harry avverta sempre più spesso un dolore alla cicatrice (come Frodo nel Signore degli Anelli) e abbia sogni su Voldemort, come se quest’ultimo fosse dentro di lui. Alla fine Voldemort appare davvero, e cerca disperatamente di recuperare il suo corpo fisico, come Sauron nel Signore degli Anelli: peccato che anche lui riveli di essere affetto dalla sindrome di Macchia Nera o del cattivo logorroico, vale a dire che ammorba Harry e il lettore con uno spiegone di pagine e pagine sulle sue intenzioni e il suo metodo di lavoro (peccato, perché le scene della sua rinascita e dei Mangiamorte nel cimitero sono davvero efficaci). Se già nel secondo e nel terzo volume aveva cominciato ad affacciarsi timidamente la storia sociale del mondo dei maghi, con le differenze tra creature magiche apparse a brandelli in maniera accennata e in certi casi anche comica, adesso l’orizzonte comincia ad allargarsi, sia dal punto di vista spaziale, estendendosi all’Europa, sia dal punto di vista temporale, svelando ancora di più la situazione che si è venuta a creare dopo la caduta di Voldemort: i processi che si sono tenuti non hanno intaccato di molto le sue schiere, visto che i Mangiamorte per la maggior parte sono pronti a rispondere subito al suo richiamo, e soprattutto non è ritornata né la giustizia né l’uguaglianza. Il mondo dei maghi ricorre in maniera sconsiderata alla giustizia, affidando la prigione di Azkaban ai terribili Dissennatori e condannando a morte o all’ergastolo creature innocenti senza processo o in seguito a processi-farsa (come accaduto nel caso dell’ippogrifo Fierobecco e di Sirius Black), mentre i personaggi ricchi e influenti (i purosangue divenuti Mangiamorte) sono sfuggiti alla punizione. E a questo punto faccio pubblica ammenda per non aver dato, dieci anni fa, il giusto valore alla battaglia di Hermione per la liberazione degli elfi domestici, che sono a tutti gli effetti degli schiavi che nessuno cerca di difendere dai maltrattamenti dei padroni (anzi, si dice che gli elfi domestici servono per natura e che sono contenti così). È quindi ovvio che questo mondo non è un’utopia consolatoria, ma ha anzi parecchie zone oscure: alla fine il Ministro della Magia, Cornelius Fudge, rifiuta di credere al ritorno dell’Oscuro Signore, e Silente gli rinfaccia l’amore per la poltrona e la fissazione per la purezza di sangue, perché «non è importante ciò che si è alla nascita, ma ciò che si diventa». Il grande insegnamento della Rowling è a proposito delle scelte che si fanno e che determinano molte cose, a partire dal bene per se stessi ma soprattutto per gli altri: non è un caso che si insista molto sul tema del sacrificio, di Harry per gli amici e dei suoi genitori per lui, e che venga continuamente ribadito che l’amore per gli altri è l’incantesimo più potente.

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