giovedì 2 agosto 2018

Enrico Brizzi - L'inattesa piega degli eventi

Una via italiana al fantastorico? Non avevo mai letto niente di Enrico Brizzi, ma questo L’inattesa piega degli eventi è stato davvero una folgorazione, riuscendo a catturarmi fin dalla prima pagina che cita Paolo Caccia Dominioni. E dire che è uscito ormai dieci anni fa: e io dove sono stato nel frattempo? Ucronico e fantapolitico, è un romanzo che immagina un’Italia che è rimasta neutrale nella Seconda Guerra Mondiale finché la Germania nazista non l’ha invasa e si è ritrovata dalla parte degli Alleati (quindi, dei “buoni”) contro la Francia di Vichy; vincendo la guerra, ha potuto mantenere la dittatura fascista e i suoi possedimenti coloniali in Africa, oltre che espandere i propri confini al Tirolo e a una porzione di territorio francese. Insomma, un po’ come Philip K. Dick che, ne La svastica sul sole, ha immaginato che la Germania e il Giappone abbiano conquistato gli Stati Uniti dopo aver vinto la guerra. Brizzi non ricrea solo un presente e un futuro distopico, ma anche e soprattutto un passato immaginario: la vicenda si svolge in un 1960 nel quale Mussolini è ormai un vecchio decrepito e morente (dopo un ictus mentre era in compagnia di Anita Ekberg) e il partito fascista si ritrova dilaniato dallo scontro per la successione tra gli aperturisti di Italo Balbo che vorrebbero un’Italia nel Patto Atlantico (l’America chiama) e gli oltranzisti di Pavolini che invece vogliono continuare a restare non allineati insieme alle forze che si affacciano sul Mediterraneo. Il fascismo ha portato a compimento la sua rivoluzione cacciando i Savoia e trasformando l’Italia in una repubblica laica e anticlericale, e in Vaticano a Pio XII è succeduto non il mite Giovanni XXIII ma il conservatore supertradizionalista francese Pio XIII. Il libro inizia con la cronaca del funerale di Mussolini ma poi è tutto un flashback sulla storia in prima persona di Lorenzo Pellegrini, bolognese (“merda zaniboni!”) e giornalista sportivo del quotidiano “Stadio” che viene inviato non come lui sperava alle imminenti Olimpiadi di Roma del 1960 ma in Eritrea, Somalia ed Etiopia a seguire le partite delle ultime giornate del campionato di calcio locale, la Serie Africa. Il torneo si svolge sotto l’egida della Federcalcio e la squadra vincente avrà l'occasione di giocare a Roma il Torneo delle Sette Repubbliche (le colonie italiane sono infatti definite formalmente “repubbliche associate”, come appunto la Repubblica Associata dell’Africa Orientale). Il nostro eroe, particolarmente sensibile al fascino femminile e in Africa proprio per vendetta della sua ex amante (figlia dell’editore di “Stadio”), affronta la trasferta africana come punizione purgatoriale e si imbatte in un calcio strano, molto diverso da quello edulcorato e convenzionale che c’è in patria, una realtà da strapaese fatta di insulti, gestacci, invasioni, dirigenti facinorosi e arbitri compiacenti, dove il razzismo la fa da padrone. Ci sono squadre di soli bianchi come il Birra Ventura Asmara, l’Audax Addis Abeba e le Fiamme Nere Gibuti, e squadre interrazziali spesso povere, con giocatori scalzi e divise raffazzonate, dove militano neri, italiani a fine carriera, inglesi, olandesi delle Antille e allenatori jugoslavi, simboli di riscatto per gli antifascisti esiliati (tra cui i sudtirolesi) e per gli indigeni, come il San Giorgio Addis Abeba (i cui giocatori sono soprannominati “pigiama” in virtù della loro divisa), il Garibaldi (in maglia rossa) e l’Abissinia Dire Daua. E la ricostruzione è talmente verosimile e accattivante, con tanto di maglie e cartine geografiche inserite dall’autore che approfondiscono l’universo narrativo del romanzo, da aver generato da parte degli appassionati una patch per Pro Evolution Soccer 2013 con tutte le squadre della Serie Africa e del Torneo delle Sette Repubbliche. L’intuizione di Brizzi è quella di trattare il calcio come elemento fondamentale della storia patria italiana e come teatro dell’autorappresentazione che ne fece il regime, ma allo stesso tempo ne affronta la dimensione mitica, il suo ruolo di grande contenitore di differenti spinte, aspirazioni, tensioni e germi di rivolta: la sua è una rivisitazione del passato coloniale (spesso taciuto) della nostra storia che funziona proprio perché in connessione al grande sport nazionale e che costringe tutti a guardarsi per un momento allo specchio. E non è un caso che anche Lorenzo Pellegrini sia spinto dagli eventi (sempre inaspettati, come recita il titolo) a schierarsi e ad abbandonare l'illusorio “quieto vivere” da giornalista e da cittadino che non si immischia di politica e non intende pestare i piedi a nessuno. In tutto il romanzo i nomi sono italianizzati rispettando i dettami fascisti (Oscar diventa Oscarre, Innsbruck viene chiamata Ponte a Eno, Lienz è Borgo Drava), ma l’Italia ritratta non è poi così diversa da quella reale: ci sono Fellini e Visconti, Gassman e Sordi, la Loren e Mastroianni, Modugno che canta Volare, la Juventus di Boniperti, Sivori e Charles vince il campionato (mentre il Brasile è campione del mondo in carica, proprio come nella storia vera), l’etiope Abebe Bikila partecipa alla maratona delle Olimpiadi per l’Italia, Hugo Pratt scrive il fumetto a puntate Ettore della Xa. Brizzi dà grande importanza ai dettagli (le sigarette Giubek, la compagnia aerea Ala Littoria, l’EIAR e non la RAI) e dedica spazio anche alla nascita del cinema porno, ai teddy boyse alla controcultura giovanile che si appoggia molto alla cultura rastafariana. E poi ci sono i personaggi: da una parte il caricaturale cavalier Venturi e il suo lacchè Quaglia, dall’altra l’affascinante e carismatico etiope Iohannes Aregai, passando per la pittoresca ala destra Ermes Cumani e il fotografo guitto Andrea Spada. Grande lettura, grande Enrico Brizzi!

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