L’Era hyboriana
rivive nella serie di fumetti francese dedicata alla figura dell’immortale
creazione di Robert Howard, Conan di Cimmeria o Conan il Barbaro, e a uno dei
suoi racconti più celebri, La regina
della Costa Nera. Ogni racconto dei dodici previsti è leggibile e godibile
indipendentemente, senza bisogno di essere integrato in una storia più vasta,
perché, come spiega in appendice Patrice Louinet (co-direttore della Fondazione
Robert E. Howard e curatore del progetto), l’immagine di Conan che sale uno
dopo l’altro gli scalini che lo conducono al potere fino a diventare re è stata
creata da altri, non da Howard. Se il cimmero in certe storie è diventato
monarca di uno dei regni hyboriani, è perché ha colto l’occasione che gli si è
presentata, non in seguito a un intenzionale progetto di fare carriera come parvenu del suo mondo («Mi
chiamo Conan. Sono un cimmero. E ho lavorato per così tanta gente che non
ricordo tutti i loro nomi. C’è anche chi dice che sono stato un re. Ma se è
vero, devo essermelo dimenticato. Probabilmente ero troppo ubriaco»). Conan vive nel momento e per il momento presente, senza alcun
passato e alcuna ambizione, tanto che lui stesso dichiara: «Non
mi interessa sapere cosa c’è dopo la morte. […] Non lo so e non m’importa. Mi basta
vivere la vita intensamente. Gustare il sapore delle carni rosse e l’ebbrezza
del vino frizzante sul mio palato… Finché posso godere del tocco ardente delle
braccia di alabastro, esultare nella follia della battaglia quando le lame
azzurre si infiammano e si tingono di rosso, io sono appagato! Lascio ai
sapienti, ai sacerdoti e ai filosofi il compito di meditare sui dilemmi della
realtà e dell’illusione. Io so solo una cosa… se la vita è una chimera, allora
lo sono anch’io. Quindi, l’illusione per me è reale. Io vivo, ardo di vita, amo
e uccido, e questo mi basta». Inoltre, ogni racconto prevede uno sceneggiatore
e un disegnatore diverso (in questo caso si tratta di Jean-David Morvan per i testi e Pierre Alary per i disegni), in modo da offrire visioni piuttosto diverse e
personali del celeberrimo eroe, molto distante da quelli immortalati da Frank
Frazetta o da John Buscema che hanno forgiato il nostro immaginario collettivo.
Dal ritmo incalzante e scorrevole, La
regina della Costa Nera narra l’approdo di Conan a bordo del mercantile
Argus e l’incontro con Bêlit, la comandante della nave Tigre, i cui feroci corsari
neri hanno fatto di lei l’indiscussa Regina della Costa Nera. Il cimmero
conquista sia la donna sia la partecipazione ai suoi cruenti commerci,
razziando la costa con lei finché la sorte non li conduce, lungo il fiume
nero, nella città perduta di un’antica razza alata. Nello stile tipico dell’autore,
il racconto combina
avventura, esotismo e orrore soprannaturale, e proprio a questo riguardo emergono
le peculiarità dell’eroe howardiano: mentre Lovecraft si sofferma sempre
morbosamente sull’orlo dell’abisso e segue l’inevitabile distruzione dell’individuo
e della realtà che noi conosciamo, Howard fa di Conan il baluardo estremo
contro l’annientamento, facendogli sistematicamente abbattere i nemici che gli
si parano davanti e lasciandolo unico superstite di quanto avvenuto. È interessante anche
notare che la creatura alata che infesta la città è incatenata alle rovine di
pietra della sua città proprio a causa dei popoli civilizzati, cosa che si
inserisce nello scontro fra cultura e natura che permea l’opera di Howard:
Conan è sotto tutti i punti di vista un selvaggio e vive come tale, ma allo
stesso tempo aspira a integrarsi nel mondo della cultura, che è corrotta,
decadente e traditrice, e quindi ne subisce il fascino. La cultura attrae e respinge il cimmero (disagio che riflette quello che lo stesso Howard provava nei confronti di un mondo di
cui si sentiva prigioniero), e ogni storia rappresenta un esito di questo
rapporto mai risolto tra l’essere integrato e respinto. In questo racconto,
Conan è di fatto un ribelle, come lui stesso spiega all’inizio: «Un
giudice mi ha chiesto dove si nascondeva il mercenario. Gli ho risposto che era
un amico e che non l’avrei mai tradito. Invece di trovare ammirevole la mia
risposta, il giudice si è infuriato e ha iniziato un gran discorso sul fatto
che avevo dei doveri verso lo stato, la società e altre cose di cui non ho
capito niente. Più parlava e più urlava… Avevo spiegato chiaramente a quell’idiota
la mia posizione, ma lui faceva finta di non capire. Allora mi sono infuriato
anch’io… ho sfoderato la spada e ho mozzato la testa di quel giudice». L’adattamento
insiste molto dal punto di vista grafico sull’intenso rapporto carnale che si
instaura tra Conan e Bêlit («Prendimi! Conquistami con la forza della tua
passione!»), che da parte sua è una donna forte e battagliera e fa addirittura ritorno dall’oltretomba
per salvargli la vita, come gli aveva promesso, «e così facendo sembra mostrare
che esiste qualcosa che va oltre l’ineluttabile pessimismo del cimmero»
(Louinet). Se il buongiorno si vede dal mattino, questa collana lascia veramente
ben sperare, a patto che non si pensi di trovarvi il Conan di Frazetta o di
Buscema.
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