martedì 9 luglio 2019

Paolo Gulisano - Il cardo e la croce

Sulla storia della Scozia non c’è molto, soprattutto in Italia. Gli italiani vanno a Edimburgo per bere birra e andare alle partite di rugby, magari vanno al Military Tattoo e si comprano il kilt o una cornamusa magnetica da frigorifero, ma al di là di questo non vanno. A colmare questa lacuna ci prova questo libretto divulgativo di Paolo Gulisano, Il cardo e la croce, riproposto da Fede & Cultura in una nuova edizione aggiornata e soprattutto illustrata. Si tratta di un saggio militante e indipendentista (forse troppo militante e indipendentista) che ripercorre le principali tappe della storia scozzese, dalla cristianizzazione ai giorni nostri, passando attraverso lo scontro con i re inglesi, le imprese di William Wallace e Robert the Bruce, il genocidio culturale causato dalla Riforma protestante, l’esiziale Atto di Unione del 1707 con cui la Scozia cessò di essere uno Stato indipendente venendo inglobata dall’Inghilterra, le rivolte giacobite e la pulizia etnica settecentesca con lo smantellamento dle sistema sociale dei clan. Per tutto il libro, il nostro autore contrappone i buoni (i cattolici) ai cattivi (i protestanti) e mitizza gli Stuart come campioni della fede in ottica anti-inglese, mantiene un forte pregiudizio antiparlamentare e antiborghese, tratteggia le figure degli eroici martiri cattolici (come padre John Ogilvie) ma non dice molte cose, a partire dal particolare che il 70% dei ribelli giacobiti era fedele alla Chiesa episcopale di Scozia (e quindi era protestante) e che il numero cattolici fu gonfiato dalla propaganda ufficiale. Con questo non voglio dire che i cattolici in Scozia (come in Inghilterra) se la passassero bene, né che dopo la rivolta fallita del 1745 la Scozia non sia divenuta di conquista da parte dell’Inghilterra, ma non è possibile ignorare gli studi dello storico Trevor-Roper sull’invenzione della tradizione operata dal Romanticismo di cui il kilt (invenzione inglese) è l’emblema, o tacere del fatto che la fama della Scozia si deve per buona parte alla tanto vituperata regina Vittoria, una delle prime innamorate di questa terra e delle opere di Walter Scott. Proprio su Scott, non si accenna nemmeno alla grande operazione di mediazione condotta dal grande romanziere in favore del nuovo Regno Unito di Giorgio IV per presentare l’identità della nuova Scozia pacificata e commerciale, unionista e fedele agli Hannover pur mantenendo le proprie specificità, in contrapposizione con quella turbolenta e barbarica del recente passato (come si può vedere facilmente leggendo Rob Roy, dove l’onore non è sparito ma è stato ripensato a uso e consumo della borghesia mercantile). D’altronde, il nostro immaginario sulla Scozia è stato forgiato dal Romanticismo, grande fucina di miti nazionali, e la Scozia ne è uno degli esempi più lampanti. Sono lacune di non poco conto, che vanno ad aggiungersi all’approccio da ultras del nostro autore (chestertoniano e favorevole all’autonomia delle piccole patrie) che ovviamente, nel caso del referendum per l’indipendenza del 2014 e la situazione che si è venuta a creare con la Brexit, va a propendere decisamente a favore dell’uscita dal Regno Unito e sostenga lo Scottish National Party. Comunque, a parte queste importanti mancanze, resta pur sempre un libro interessante, soprattutto perché uno dei pochi in Italia dedicati all’argomento.

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