mercoledì 24 luglio 2019

Vladimir Solov’ëv - I tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo

Nuova edizione, questa volta di Fede & Cultura, per I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo del russo Solov’ëv, vero e proprio classico che molti citano come esempio di sguardo profetico sul mondo di oggi, i tempi ultimi, la crisi della Chiesa e l’avvento dell’Anticristo, tematiche che fanno sempre una certa presa visto il millenarismo imperante e la brutta tendenza a individuare l’Anticristo ora in questo o in quel personaggio (anche se poi Papa Francesco mette d’accordo un po’ tutti, specie a destra). In realtà i più conoscono solo Il racconto dell’Anticristo, ignorando tuttavia che l’opera completa prevede altri tre dialoghi e che il Racconto si tiene necessariamente in relazione con questi, come ideale chiusura del discorso. E, metto in guardia tutti, si tratta di un’opera per nulla facile: principalmente per il continuo riferimento alle vicende della storia russa, passata e presente, ma anche perché Solov’ëv sceglie la forma dialogica per affrontare le grandi problematiche morali, e lo fa attraverso la maieutica, con discorsi a cui si aggiungono obiezioni e altre posizioni da parte dei vari personaggi, che fanno evolvere la discussione. Troviamo il Generale, il Principe, la Signora, il Politico, il Signor Z., ognuno portatore di un punto di vista che si fonde in uno sguardo più ampio.

Il primo dialogo affronta il problema della guerra e si interroga se possa essere in qualche caso tollerabile, inevitabile o addirittura giusta, e se sia da considerarsi peccato prestare servizio nell’esercito oppure obbligatorio eseguire gli ordini di un superiore; allo stesso modo si interroga sulla liceità dell’omicidio e sul fatto che la norma “non uccidere” sia assoluta oppure preveda qualche eccezione dettata dalla necessità (bisogna salvare la vittima di un’aggressione oppure no? Come si dovrebbe comportare un cristiano davanti al nemico? È doveroso seppellire il nemico ucciso che non ha rispettato la vita degli inermi?).

Il secondo dialogo riguarda la morale, la degenerazione delle virtù (la cortesia che si trasforma in scrupolo eccessivo e folle mania) e la condanna dello sconforto che porta a disprezzarsi e a disperarsi. Fantastica la storiella dei due eremiti traviati dal demonio in quel di Alessandria tra ubriachezze e meretrici, con uno che si disprezza e cade nella depressione al punto da divenire malvivente ed essere condannato a morte, e invece l’altro che è tutto teso a lodare il Signore per i suoi doni fino al punto di compiere miracoli e divenire santo. Contemporaneamente, prosegue il ragionamento sulla guerra e il ruolo che questa ha nella costituzione di uno Stato e nella gestione dello stesso, sui vantaggi e gli svantaggi pratici e ideali della leva obbligatoria, sulla liceità di annientare un nemico che commette efferatezze (anche i sovrani cristiani possono commettere efferatezze, come ha dimostrato la storia), sull’utopia di perseguire una politica di pace e abolire ogni conflitto fra le persone e le nazioni come sintomo del progresso civile. E come trattare con i turchi? Annientarli in quanto nemici dei cristiani o apprezzarli come garanti dell’ordine e della pace in Oriente? E come considerare l’Europa? Come il massimo della cultura che deve coincidere con il concetto di umanità? Oppure considerare le altre culture sullo stesso piano? E ancora: come si devono porre i russi nei confronti dell’Europa, seppur divisa? Qui torna il perenne problema della Russia, troppo europea per essere considerata Asia ma troppo diversa dall’Europa per farne completamente parte (problematica perfettamente espressa dal film Arca russa di Aleksandr Sokurov).

Il terzo dialogo tratta problemi come il legame tra fede e ragione e la separazione tra intelletto e coscienza, ma soprattutto riguarda il progresso umano e del processo storico, fatalmente avviato all’affermazione dell’Anticristo, che «non sarà semplicemente una mancanza di fede, o il rifiuto del cristianesimo in sé, o il materialismo e via discorrendo, ma un’impostura religiosa, nella quale le forze dell’umanità che all’atto pratico e in sostanza sono estranee e direttamente ostili a Cristo stesso e al Suo Spirito si approprieranno del nome di Cristo». Meglio dunque essere duri e legalisti, dimenticando la gioia dello Spirito Santo, oppure seguire la via dell’omologazione ai valori del mondo, col risultato di far perdere qualsiasi fascino al cristianesimo? Non viene data una risposta chiara, dal momento che Solov’ëv colloca il nemico nella schiera di uomini da sacrestia che in ogni loro frase pronunciano il nome di Dio invano: bene e male non sono rappresentazioni che l’uomo si dà attraverso una morale artefatta, ma categorie reali che trovano un fondamento solo nell’intelligenza divina. Il Signor Z., alter ego di Solov’ëv stesso, sostiene che gli ideali di pace e di fraternità sono valori cristiani indiscutibili e vincolanti, mentre lo stesso non si può sostenere per il pacifismo e la teoria della non-violenza, fattori entrambi che spesso finiscono col risolversi in una resa sociale alla prevaricazione e in un abbandono senza difesa dei piccoli e dei deboli alla mercé degli iniqui e dei prepotenti.

Come detto, a questo terzo dialogo si connette Il racconto dell’Anticristo, presentato con l’espediente del manoscritto scritto da un compagno di accademia (poi fattosi monaco) del Signor Z. In questo racconto si immagina un mondo del XX-XXI secolo con una guerra di ingenti proporzioni combattuta per anni tra l’Oriente giapponese-cinese-mongolo e l’Occidente cristiano secolarizzato, e conclusasi con l’occupazione cinquantennale di quest’ultimo (qui a dire il vero il racconto è abbastanza deludente per visione geopolitica e faciloneria tecnico-militare di Solov’ëv). Dopo le devastazioni belliche emerge l’Anticristo, un uomo eccezionale, un superuomo, irreprensibile, geniale, pacifista, animalista, vegetariano ed ecologista, molto simile a quello tratteggiato da Robert Hugh Benson ne Il padrone del mondo: i suoi argomenti preferiti sono la prosperità e la pace, e per questo si sostituisce a Cristo (che sulla terra ha portato non la pace ma la spada), di cui ammira la statura e l’insegnamento pur senza riconoscere che sia risorto e vivo. Mentre Cristo ha complicato la vita e l’ha resa impraticabile, lui la rende facile e piacevole perché elimina le divisioni e le contraddizioni, conciliando gli opposti. In sostanza, l’Anticristo non è l’opposto di Cristo, ma qualcuno che gli somiglia e lo falsifica, tanto più che agisce e parla sotto ispirazione del demonio. Viene eletto dai massoni Presidente dei neonati Stati Uniti d’Europa, quindi fonda la monarchia universale. Ma soprattutto è un ecumenista: i colti lo venerano estasiati e lui presiede un concilio ecumenico per l’unione di tutte le religioni, la cattolica, l’ortodossa e la protestante, ma viene sconfessato dai loro tre i grandi rappresentanti (il papa Pietro II, lo starec Giovanni e il professore protestan­te Pauli), tutti concordi nel professare Cristo vivo e operante.

Vero è che l’opera si pone volutamente come critica alle concezioni filantropiche e umanitarie di Lev Tolstoj, fondatore della dottrina della non resistenza violenta al male (ma che era anche uno scrittore fenomenale, non bisogna dimenticarlo, altrimenti il rischio è ridurre anche lui ad Anticristo). Oggi il ragionamento di Solov’ëv sembrerebbe una dura critica alla fede che si apre al mondo in nome dell’umanitarismo e del dialogo (e qui ritorna Papa Francesco!), ma il suo intento è ben più profondo: piuttosto, lo scrittore russo invita a discernere verità e menzogna nella vita quotidiana e ad applicare i precetti religiosi in maniera coerente alla propria coscienza e alla realtà che ci circonda.

Nessun commento:

Posta un commento