
Margaret
Thatcher! La Lady di Ferro, uno dei simboli degli Anni Ottanta, è ancora in
grado di far tremare tutti, dall’intellettuale all’uomo della strada,
guadagnandosi probabilmente un posto nell’Olimpo dei supercattivi di tutti i
tempi. Figlia di un droghiere e malvista da «un
gruppo dirigente fatto di maschi, nobili, proprietari terrieri e allievi di
Eton», nel
suo regno di leader del Partito Conservatore e di Primo Ministro (1979-1990)
mise in atto un lungo braccio di ferro con i minatori e una serie di riforme
dure e impopolari con fermo controllo della spesa pubblica, deregulation
finanziaria, taglio delle tasse e privatizzazioni risollevando un Paese fondato
sull’assistenzialismo ma sull’orlo del baratro finanziario, che aveva chiesto l’intervento
del Fondo Monetario Internazionale per salvare la propria valuta e che
annaspava nel declino industriale e in una crescente disoccupazione. La Thatcher credeva che la disuguaglianza fosse uno
stimolo per la crescita degli individui e della società, e per questo era
sostenitrice di uno Stato leggero attento a non soffocare sotto un fardello di
regole e sussidi la creazione di ricchezza. Ha fatto molto di più che applicare
una teoria economica: ha prodotto la rivoluzione della classe media che ha
cambiato la mentalità e la faccia del Paese perché ha permesso l’emergere di
una borghesia che lavorava a discapito di chi per tradizione aveva di più. In quindici
anni la Gran Bretagna era già diventata un Paese ricco e trendy al quale il
resto del mondo guardava con ammirazione, e ha permesso a Tony Blair (che si è
guardato bene dall’invertire la rotta) di inaugurare la sua Cool Britannia. Prima
che vi stracciate le vesti, sia che siate di sinistra sia di destra (la sinistra
inorridisce, ma la destra tradizionale odia la Lady di Ferro anche di più, in
quanto atlantista e liberale, quindi tesa a imporre il denaro come unico
valore), Ci vorrebbe una Thatcher di Antonio Caprarica non è un libro
sulla Thatcher, ma su quanto la Thatcher avrebbe da insegnare a un Paese come
il nostro. Quando è stato scritto c’era Monti, ma non cambia molto, nonostante
nel frattempo siano passati Letta, Renzi Gentiloni e Conte, perché i problemi
restano sempre gli stessi: da ex comunista e uomo di sinistra (qualcuno direbbe:
perfetta deriva da PD), Caprarica sostiene che anche all’Italia servirebbe una
rivoluzione come quella portata dalla Lady di Ferro in Gran Bretagna, che la
nostra società e la nostra economia dovrebbero aprirsi (orrore!) al liberalismo
e a valori come la trasparenza, l’individuo, la concorrenza, la responsabilità
personale, perché «i sussidi di Stato alle aziende decotte non sono una
vera alternativa alla crisi. È la stessa verità che bisognerebbe dire alle
migliaia di lavoratori italiani intrappolati in aziende obsolete e in crisi. […]
Non si creano posti di lavoro stabili e duraturi difendendo imprese
antieconomiche. […] E continuare a sborsare soldi pubblici giusto per passare
il problema a chi verrà dopo è un inganno non solo per i posteri, ma pure per i
contemporanei». Insomma, dovremmo tutti abbandonare l’idea del sussidio o dell’intervento
statale in grado di risolvere tutti i problemi, o la convinzione che sia più
utile salvare il posto di lavoro che il lavoro. Monti poteva essere una nuova
Thatcher e modernizzare l’Italia? No, perché a differenza della Thatcher non
aveva né i voti né il consenso popolare per mettere in atto dei provvedimenti
impopolari. A dire il vero, ha tentato solo alcune liberalizzazioni sul mercato
del lavoro, dei capitali e delle professioni, e non è intervenuto sula fine
delle corporazioni che bloccano il mercato del lavoro; anche la creazione di
società a un euro (provvedimento che avrebbe dovuto incentivare la creatività
giovanile e lo spirito imprenditoriale delle nuove generazioni) è miseramente
fallita perché poi, per partecipare alle gare, ci voleva un capitale di almeno
20.000 euro. Per capire la differenza tra Italia e Regno Unito basti pensare
che lì manca la figura del notaio: figura del tutto inutile, in quanto il
rapporto Stato-cittadino è basato sulla fiducia. Curiosamente, da quelle parti i
tagli agli enti locali hanno dato origine a sperimentazioni legate alle istanze
più vicine ai cittadini: «Costretti dall’austerità a pesanti riduzioni di
budget, le amministrazioni periferiche li hanno usati per concepire nuove
risposte ai bisogni delle loro comunità». Forse da qui dovrebbe partire la lezione
della Thatcher, la necessità che l’economia riprenda in settori diversi da
quelli tradizionali: valga l’esempio, citato da Caprarica, del mercato dell’auto
che è stato sorpassato da quello della bicicletta, segno di un panorama ormai
cambiato.