martedì 10 dicembre 2019

Dario Calimani - T.S. Eliot. Le geometrie del disordine

Da quando, ormai quasi vent’anni fa, l’ho portato all’esame di Letteratura inglese all’università, T.S. Eliot mi è rimasto dentro. Ogni tanto riaffiorano in me versi della Waste Land come “Madame Sosostris, la famosa chiaroveggente, aveva un brutto raffreddore”, “Temi la morte per acqua!”, “Giag giag a sozze orecchie”, “In the room the women come and go / Talking of Michelangelo” e “You! hypocrite lecteur! – mon semblable, – mon frère!”. Quest’estate a Londra mi sono pure imbattuto nella sua casa, a High Street Kensington, e mi è venuta voglia di riaffrontarlo, riprendendo in mano il libro di testo del mio professore Dario Calimani, ahimè fuori catalogo, che presenta Eliot come un modernista pur «con la delusione e il rimpianto del classicista a cui sono venuti a mancare i valori su cui ha fondato la sua esistenza», e spiega quindi come per lui il Modernismo «è una rivoluzione formale applicata a un contenuto percepito come degradazione e involuzione». Chiariamo subito che si tratta di un testo universitario, quindi abbastanza complesso, documentato e pieno di note bibliografiche e riferimenti testuali, ma è una grandissima lettura. Vista l’ideologia reazionaria, se non dichiaratamente fascista, e l’antisemitismo di questo genio del Novecento, Calimani parte dal dilemma posto dalla poesia di Eliot al critico, se cioè si debba giudicare la sua poesia dal messaggio oppure indipendentemente da esso, e la risposta non può che essere una riflessione critica sul conflitto di questi due ambiti, con un continuo riesame di sé e dei propri valori. Chiaro che questo esercizio si concentri soprattutto sulla Waste Land, il capolavoro di Eliot, summa della sua poetica fatta di citazioni e allusioni testuali, da Dante a Shakespeare a Milton, al punto che ogni verso è o contiene la citazione da opere precedenti; una poetica che si basa sulla sola autorità del linguaggio e gioca sempre su contrasti e ossimori che si negano vicendevolmente e creano un preciso effetto poetico spiazzante, facendo volutamente smarrire il lettore. Il testo eliotiano rompe il rapporto classico tra soggetto e l’oggetto della percezione, quindi fa perdere al soggetto la chiave di decodifica della realtà e all’autore il rapporto con il proprio testo; allo stesso tempo il lettore dipende da un testo che «non ripone alcuna fiducia in lui e nella razionalità della sua natura umana».

Eliot «delinea una visione spaziale della letteratura per la quale le opere del passato e quelle del presente costituiscono un ordine simultaneo nella coscienza dell’artista che scrive, un ordine che esula dalla tradizione temporale». Nella Waste Land si assiste a una moltiplicazione dei tempi (presente, passato, futuro, ma anche tempo mitico), tutti schiacciati per giustapposizione (tecnica della sincronicità), con la conseguente scomparsa del tempo e la sua sostituzione con lo spazio (già anticipata dalla vita misurata in cucchiaini da caffè di Prufrock): il tempo viene spazializzato e fatto a pezzi, spesso incorniciato pittoricamente e incastonato con una finzione nell’altra, espediente che sembra corrispondere alla tecnica di costruzione narrativa ma che in realtà serve solo ad annullare l’orizzontalità temporale e le barriere verticali che separano storia, mito e finzione letteraria. Anche tutte le immagini forti e ricorrenti della Waste Land sono poste in giustapposizione tra loro: la profezia, spesso mancata (l’indovino Tiresia, la chiaroveggente Madame Sosostris, la Sibilla decrepita prigioniera in un’ampolla), la fenicità (Phlebas il fenicio, Didone, la Cartagine di Agostino, le guerre puniche), l’amore tradito, la metamorfosi, la morte per acqua. La forma abbandona le strutture tradizionali e diventa metafora del decadimento spirituale e sociopolitico: «Con la sua forma chiusa, il testo si autolegittima ironicamente e, insieme, si fissa in un sistema spaziale che, annullato ogni collegamento sequenziale e deterministico, nega ogni valore all’esperienza dell’uomo nella storia e ogni senso alla storia stessa. Al tempo della storia, con le irreparabili tragedie del suo passato e le angosce del suo futuro, subentra la spazialità di un ordine mitico che promette la serenità dell’inazione e l’immobilità di un percorso ciclico, rassicurante perché sempre dogmaticamente uguale a se stesso. […] Abolita la sintassi tradizionale, […] il testo ricorre a una sintassi spaziale che, nell’esulare da modelli di riferimento esterni, dichiara la propria autoreferenzialità, dando così espressione alla paura del tempo e alla più completa sfiducia nella storia. Il testo, così come lo spirito dell’autore, cerca pacificazione nella sicurezza di un modello, stabile e immutabile, che di fatto trae il proprio fondamento dalla frana dello storicismo e dalle rovine letterarie della civiltà». La struttura mitica può dunque dare forma, ordine e significato al caos e all’anarchia della storia contemporanea. È un caso esemplare di traduzione dell’ideologia dell’autore in un preciso stile che prende il sopravvento su tutto: in questo senso si devono intendere le “geometrie del disordine” del titolo.

Ovvio che l’attenzione di Calimani sia rivolta a The Love Song of J. Alfred Prufrock, che poi love song non è (ma forse, «oltre che il canto a cui egli non sa dar voce, il canto che egli non sa ispirare»), «che avvia una complessa strategia di modelli forali, digressivi, mitici, teatrali e di distanziamento, attraverso i quali l’io ostenta la propria incertezza, in un gioco che rivela disagio e volontà di fuga da sé e dalla realtà circostante»; un testo che uccide l’azione ed è un’ironica negazione del percorso in avanti, e in cui «lo stile nega sempre più apertamente possibilità di accesso alla presenza umana». Ma è la Waste Land a recitare ovviamente la parte del leone nella seconda parte del volume: in essa perfino il mito di riferimento (i cavalieri della Tavola Rotonda, la leggenda del Re Pescatore che rivitalizza la terra arida) è deteriorato e svuotato di significato, visto lo svilimento generale dei valori della nostra società, mentre il rapporto conflittuale tra fertilità (femminile) e aridità (maschile), verticalità e caduta, addizione e sottrazione, è ottenuto mediante il grande spettro di registri verbali che si scontrano tra loro innestando l’ironia (lo stile basso che distrugge le figure mitiche, lo stile cavalleresco che nobilita ironicamente realtà meschine). Il testo è composto di frammenti, di frammenti di immagini, di spazio, di tempo, di frammenti di frammenti («Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine»); la spazializzazione applicata al tempo riguarda anche l’immagine del corpo, che viene a sua volta frammentato (abbiamo piedi, abbiamo occhi, ma mai un corpo), e delle ossa (sempre scaricate come rifiuti). Riguarda però anche il percorso di tutto il poema lungo le strade di Londra verso la foce del Tamigi, in un gioco di materializzazione e reificazione di persone che perdono la loro umanità e si fanno semplice spazio. Spesso l’ambiente prende vita e acquista umanità per compensare un’umanità che non c’è (il boudoir della Lady che diventa come la reggia di Didone, mentre la Lady, Lil, viene giustapposta alla Filomela del mito che è stata stuprata), in una retorica di umanizzazione/rivitalizzazione del non umano e di una disumanizzazione/devitalizzazione dell’umano (l’uomo-taxi): «Al mito, che oppone e sostituisce la natura animale a quella umana, corrisponde la riproduzione artistica, che oppone e sostituisce la natura morta alla natura viva».

Il testo eliotiano rinuncia a ogni principio di consequenzialità logico-temporale: «la realtà spaziale creata dalla giustapposizione dei tempi è la struttura più propria di un testo che afferma la frammentazione come unico principio strutturante e unificante». Tutto questo fa sì che un frammento di testo non dia senso a un altro frammento di testo, dal momento che ogni frammento rappresenta virtualmente il suo inizio e la sua fine. Quello che resta è la complessità e la globalità del testo, sempre aperto e mai concluso, che pone sempre maggiori domande e offre tante verità quanti sono i suoi fruitori, chiedendo proprio ai suoi fruitori «di far violenza all’immortale fissità dell’arte per continuare, malgrado essa, beffardamente, a vivere».

1 commento:

  1. Scopro solo ora. Ma il ritardo della visione non detrae nulla ai complimenti che faccio all'autore del post per aver esposto in modo così appassionato e lucido la materia eliotiana. Complimenti.

    RispondiElimina