giovedì 5 dicembre 2019

Gilbert Keith Chesterton - San Francesco d'Assisi

Di G.K. Chesterton ho già tradotto anni fa San Tommaso d’Aquino, ma non ne ho mai parlato nel timore di averlo capito poco. Il mio problema con Chesterton è il suo stile provocatorio, la prosa contorta e la propensione alla divagazione parlando d’altro. Non fa eccezione questo San Francesco d’Assisi (riproposto da Fede & cultura e tradotto sempre dal sottoscritto), saggio dedicato a un santo fondamentale nel cammino di conversione al cattolicesimo dello stesso scrittore inglese ma soprattutto a un personaggio capace di esercitare una strana attrattiva sull’immaginazione dei vittoriani. Scrive proprio Chesterton nel saggio su San Tommaso: «C’è qualcosa nella storia di San Francesco che rispondeva a tutte le più nascoste e umane qualità inglesi: segreta tenerezza del cuore, poetica vaghezza della mente, amore del paesaggio e degli animali. San Francesco è stato il solo cattolico medievale che, per i propri meriti, è divenuto popolare in Inghilterra. La classe media ha trovato il suo vero missionario nel tipo che, fra tutti, essa maggiormente disprezzava: quello del mendicante italiano». Logico quindi che la figura del santo di Assisi riveste una duplice importanza, sia per l’autore che per la sua società di appartenenza.

Pur ripetendo che il suo lavoro è solo un’introduzione priva di pretese di esaustività, Chesterton si fa cantore di un San Francesco ispiratore dell’arte di Giotto, della poesia di Dante, della drammaturgia moderna, ma soprattutto di un santo controcorrente e antimoderno, destinato a una gloria eterna proprio perché non di moda: così l’autore inglese legge la decisione di Francesco di esporsi alla derisione cittadina e di mortificarsi per imitare Cristo, una persona reale, non un’idea. Allo stesso modo per il santo la religione non era una teoria ma «qualcosa di più simile a una storia d’amore», al punto da abbracciare una gioiosa follia e diventare uno specchio di Cristo. Anche il suo amore per la natura non era da intendersi come un panteismo sentimentale alla maniera romantica, ma solo un modo di amare il Creatore e la sua grandezza (esattamente come la sua amicizia esclusivamente spirituale con Santa Chiara). Comunque la si giri, non si può parlare di San Francesco senza parlare di Dio, e non si può parlare di lui solo in chiave razionale come hanno fatto molte (e pur valide) letture contemporanee.

Possiamo quindi perdonare a Chesterton le numerose pagine di polemica nei confronti del paganesimo naturalista che per secoli ha negato all’uomo la realtà ultraterrena e le cui conseguenze sono durate fino al periodo che va dal XII al XIII secolo, quando cioè, «da frammenti di feudalesimo, libertà e sopravvivenze del diritto romano» è nata la grande civiltà del Medioevo, epoca di «riforme senza rivoluzioni», dopo la purificazione dei secoli dell’espiazione cristiana. Da giornalista, Chesterton si scaglia contro il modo di fare storia in maniera giornalistica, cioè senza «raccontare la storia nella sua complessità»: per esempio, invita a considerare come le continue guerre tra città che caratterizzavano quel tempo erano nulla se paragonate agli scontri tra gli eserciti della contemporaneità, e che gli uomini del Medioevo erano chiamati a morire per le loro case, i loro luoghi di culto e i loro governanti e non «per gli echi di remote colonie riportati in anonimi giornali». Le guerre del Medioevo non paralizzavano la civiltà, come prova il fatto che quelle «bellicose città» hanno prodotto personaggi del calibro di Dante, Michelangelo, Ariosto, Tiziano, Leonardo e Colombo; senza considerare che «c’era più internazionalità nel mondo delle piccole repubbliche di allora di quanta non ce ne sia nei grandi blocchi nazionali impenetrabili e omogenei di oggi». Allo stesso modo, è importante spazzare via i pregiudizi che si hanno sul Medioevo, con l’Inquisizione, le Crociate e tutto il resto, come siamo portati a fare dalla leggenda nera diffusa dal protestantesimo.

È abbastanza chiaro che a Chesterton il paganesimo e la sua mitologia trasformata in allegoria non stanno simpatici, e infatti esalta l’immaginazione favolistica e infantile di San Francesco fatta «di pure fantasie su fiori, animali ed esseri inanimati» che lo portò a creare una nuova mitologia personale: i suoi Frate Sole e Sorella Allodola sono l’equivalente di Fratel Coniglietto e Comare Volpe dei Racconti dello Zio Tom. Il suo linguaggio ha reso più accessibile il divino all’uomo, ha attirato gli uomini ed è stato capace di inviare i servi di Dio per le strade del mondo. Chesterton insiste sulla sua immaginazione, il suo umorismo, la sua cortesia, la sua generosità, la sua umiltà, la sua visione teatrale di tutte le cose, la sua idea di martirio come fine di vita e mezzo per convertire il mondo, e ricostruisce la vicenda umana di Francesco in tutti i suoi momenti salienti (la partecipazione alla guerra, la prigionia, la malattia e la crisi, la ricostruzione della chiesa di San Damiano, l’incontro con il papa, il viaggio per incontrare il sultano, le divisioni nell’ordine francescano, le stimmate), fino a una complessa analisi sulla veridicità dei suoi miracoli, sulla loro storicità e sulla loro interpretazione.

Nessun commento:

Posta un commento