Di G.K. Chesterton ho già tradotto anni fa San Tommaso d’Aquino, ma non ne ho
mai parlato nel timore di averlo capito poco. Il mio problema con Chesterton è
il suo stile provocatorio, la prosa contorta e la propensione alla divagazione
parlando d’altro. Non fa eccezione questo San Francesco d’Assisi
(riproposto da Fede & cultura e tradotto sempre dal sottoscritto), saggio
dedicato a un santo fondamentale nel cammino di conversione al cattolicesimo
dello stesso scrittore inglese ma soprattutto a un personaggio capace di
esercitare una strana attrattiva sull’immaginazione dei vittoriani. Scrive
proprio Chesterton nel saggio su San Tommaso: «C’è qualcosa nella storia di San
Francesco che rispondeva a tutte le più nascoste e umane qualità inglesi:
segreta tenerezza del cuore, poetica vaghezza della mente, amore del paesaggio
e degli animali. San Francesco è stato il solo cattolico medievale che, per i
propri meriti, è divenuto popolare in Inghilterra. La classe media ha trovato
il suo vero missionario nel tipo che, fra tutti, essa maggiormente disprezzava:
quello del mendicante italiano». Logico quindi che la figura del santo di
Assisi riveste una duplice importanza, sia per l’autore che per la sua società
di appartenenza.
Pur ripetendo che il suo lavoro è solo un’introduzione
priva di pretese di esaustività, Chesterton si fa cantore di un San Francesco
ispiratore dell’arte di Giotto, della poesia di Dante, della drammaturgia
moderna, ma soprattutto di un santo controcorrente e antimoderno, destinato a
una gloria eterna proprio perché non di moda: così l’autore inglese legge la
decisione di Francesco di esporsi alla derisione cittadina e di mortificarsi
per imitare Cristo, una persona reale, non un’idea. Allo stesso modo per il
santo la religione non era una teoria ma «qualcosa di più simile a una
storia d’amore», al punto da abbracciare una gioiosa follia e diventare uno
specchio di Cristo. Anche il suo amore per la natura non era da intendersi come
un panteismo sentimentale alla maniera romantica, ma solo un modo di amare il
Creatore e la sua grandezza (esattamente come la sua amicizia esclusivamente
spirituale con Santa Chiara). Comunque la si giri, non si può parlare di San
Francesco senza parlare di Dio, e non si può parlare di lui solo in chiave
razionale come hanno fatto molte (e pur valide) letture contemporanee.
Possiamo quindi perdonare a Chesterton le numerose pagine
di polemica nei confronti del paganesimo naturalista che per secoli ha negato
all’uomo la realtà ultraterrena e le cui conseguenze sono durate fino al
periodo che va dal XII al XIII secolo, quando cioè, «da frammenti di
feudalesimo, libertà e sopravvivenze del diritto romano» è nata la grande
civiltà del Medioevo, epoca di «riforme senza rivoluzioni», dopo la
purificazione dei secoli dell’espiazione cristiana. Da giornalista, Chesterton
si scaglia contro il modo di fare storia in maniera giornalistica, cioè senza «raccontare
la storia nella sua complessità»: per esempio, invita a considerare come le
continue guerre tra città che caratterizzavano quel tempo erano nulla se paragonate
agli scontri tra gli eserciti della contemporaneità, e che gli uomini del
Medioevo erano chiamati a morire per le loro case, i loro luoghi di culto e i
loro governanti e non «per gli echi di remote colonie riportati in anonimi
giornali». Le guerre del Medioevo non paralizzavano la civiltà, come prova il
fatto che quelle «bellicose città» hanno prodotto personaggi del calibro di
Dante, Michelangelo, Ariosto, Tiziano, Leonardo e Colombo; senza considerare
che «c’era più internazionalità nel mondo delle piccole repubbliche di allora
di quanta non ce ne sia nei grandi blocchi nazionali impenetrabili e omogenei
di oggi». Allo stesso modo, è importante spazzare via i pregiudizi che si hanno
sul Medioevo, con l’Inquisizione, le Crociate e tutto il resto, come siamo
portati a fare dalla leggenda nera diffusa dal protestantesimo.
È abbastanza chiaro che a Chesterton il paganesimo e
la sua mitologia trasformata in allegoria non stanno simpatici, e infatti
esalta l’immaginazione favolistica e infantile di San Francesco fatta «di pure
fantasie su fiori, animali ed esseri inanimati» che lo portò a creare una nuova
mitologia personale: i suoi Frate Sole e Sorella Allodola sono l’equivalente di
Fratel Coniglietto e Comare Volpe dei Racconti dello Zio Tom.
Il suo linguaggio ha reso più accessibile il divino all’uomo, ha attirato gli
uomini ed è stato capace di inviare i servi di Dio per le strade del mondo.
Chesterton insiste sulla sua immaginazione, il suo umorismo, la sua cortesia,
la sua generosità, la sua umiltà, la sua visione teatrale di tutte le cose, la
sua idea di martirio come fine di vita e mezzo per convertire il mondo, e
ricostruisce la vicenda umana di Francesco in tutti i suoi momenti salienti (la
partecipazione alla guerra, la prigionia, la malattia e la crisi, la
ricostruzione della chiesa di San Damiano, l’incontro con il papa, il viaggio
per incontrare il sultano, le divisioni nell’ordine francescano, le stimmate),
fino a una complessa analisi sulla veridicità dei suoi miracoli, sulla loro storicità e sulla loro
interpretazione.
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