lunedì 30 dicembre 2019

Stuart Turton - Le sette morti di Evelyn Hardcastle

«Nulla di meglio di una maschera per rivelare la vera natura di chi la porta»: proprio sul concetto di maschera ragiona questo Le sette morti di Evelyn Hardcastle, giallo con elementi mystery che mescola Edgare Wallace, Cluedo, Downton Abbey e Black Mirror e immerge il lettore in una storia molto originale e perfettamente congegnata. Tutto parte dal protagonista Aiden Bishop, che si sveglia in un bosco, non ha memoria di sé, crede di assistere a un omicidio, vede una ragazza che scappa, cerca una via di fuga e approda a una casa enorme e abbandonata a se stessa. La tenuta è quella di Blackheat, e nella casa sono radunati numerosi personaggi, invitati a una festa in maschera in onore del ritorno a casa della figlia degli Hardcastle, Evelyn, dopo essersi trasferita a Parigi. Curiosamente, 19 anni prima, nello stesso giorno si è tenuta la stessa festa, durante la quale è morto il figlio minore degli Hardcastle, Thomas, fatto che ha fatto deflagrare le relazioni all’interno della famiglia e ha segnato in particolar modo Evelyn. A poco a poco Aiden comincia a capire di essere finito in un gioco più grande di lui, fatto di intrighi e scoperte: scopre di non poter fuggire da Blackheath e di avere otto giorni per scoprire il segreto della morte di Evelyn, che ogni sera alle undici muore per un colpo di pistola al ventre cadendo nel laghetto della tenuta. Se all’inizio scopre di essere nel corpo di un medico, Aiden ogni giorno si sposta in un corpo diverso appartenente agli ospiti della casa, vivendo dunque in prima persona gli accadimenti dello stesso giorno fino a quando non sprofonda nel sonno: questi personaggi non sono semplici burattini che lui può muovere a piacimento, ma veri e propri personaggi mossi da emozioni, pulsioni e traumi sempre più difficili da gestire, che condizionano Aiden secondo il loro modo di pensare, la loro personalità e i loro difetti fisici. Il campionario umano è molto ben assortito: ci sono il banchiere, l’agente di polizia, il giocatore d’azzardo, il medico spacciatore, lo stupratore seriale. Arbitro di questo gioco è un personaggio parecchio inquietante, vestito da medico della peste, che non svela il proprio volto; ad affiancare la sua presenza costante ci sono la misteriosa domestica Anna, il cui nome non compare né tra gli invitati né nel personale di servizio, e il lacchè, infallibile cecchino che minaccia di uccidere spietatamente ognuna delle incarnazioni del protagonista. Ovviamente, la narrazione in prima persona permette una totale identificazione con il protagonista da parte del lettore, che ne condivide lo smarrimento, e la questione delle varie incarnazioni è perfetta per rivivere la giornata dai diversi punti di vista e ricostruire il background e le motivazioni di ognuno, in una complessa rete di ricatti, verità e menzogne (e ne vengono dette molte). All’inizio non si capisce nulla ma, stando al gioco, si viene a capo di un vero e proprio mosaico di dettagli e indizi disseminati lungo il testo, cosa che spinge a una rilettura per poter apprezzare molti particolari che, soprattutto all’inizio, si sono inevitabilmente persi. Certo, qualcuno potrebbe avere problemi a non accettare la natura irrazionale dell’indagine (anche se la ricostruzione dell’enigma è del tutto razionale), ma Stuart Turton è capace di utilizzare il giallo per parlare di colpa, peccato, redenzione e perdono. Un romanzo da non sottovalutare.

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