martedì 21 aprile 2020

Roberto Burioni - Virus, la grande sfida

Uscito in coincidenza dell’epidemia di Coronavirus e per questo criticato (perfino dallo Chef Rubio, il che è tutto dire) per il tempismo e l’opportunità, senza che nessuno abbia preso in considerazione il fatto che doveva uscire da mesi visto che io stesso l’ho ordinato dall’agente Mondadori ben prima dell’emergenza Covid-19 (ma mi rendo conto che l’uomo medio sia all’oscuro delle dinamiche del mercato editoriale, e spesso è inutile anche tentare di spiegargliele), Virus, la grande sfida è un libro che racconta in maniera molto semplice e piana la storia e l’evoluzione (con tanto di riferimenti letterari) di varie epidemie, la rabbia, la peste, l’Escherichia coli, la spagnola, l’ebola, l’HIV, la SARS, e illustra come un approccio razionale e scientifico possa aiutare e risolvere le cose. Viviamo in un mondo in cui tutti dissertano di ceppi virologici e anticorpi monoclonali senza saperne nulla, però guai a pubblicare un libro sulle pandemie durante una pandemia, perché è poco carino. Nessuno di noi possiede il bagaglio di conoscenze per dire che un virologo ha ragione, quindi, invece che gridare al complotto tirando in ballo la solita scusa “me l’ha detto mio cuggino che lavora nel settore”, forse bisognerebbe piuttosto criticare il modo in cui Burioni usa i social e si pone nei confronti del pubblico, e non mi riferisco alle sue sferzate nei confronti dei no-vax: con il tempo Burioni è diventato prigioniero del suo personaggio, lo scienziato che, con una comunicazione molto aggressiva, blasta la gente (gente che, beninteso, si merita qualsiasi tipo di insulto, visti certi commenti che circolano) e addirittura i colleghi. Colleghi che, ovviamente, per l’uomo dei social sono tutti migliori di lui e in odore di Premio Nobel, anche se per il resto dell’anno il Premio Nobel è una cricca di massoni che ha l’obiettivo di distruggere l’umanità. La verità è che viviamo in una società (e ci metto dentro l’informazione, lo spettacolo e la politica) che non è pronta per affrontare questo tipo di problemi, e non è nemmeno detto che grazie a libri come questo l’opinione pubblica si accosti a certe tematiche accettando un approccio scientifico, che pur con tutta la sua imperfezione, ci appare, secondo Burioni, «l’unico scudo in grado di proteggerci da un’inaspettata e angosciante minaccia»: quindi non servirà nemmeno scoprire che altri coronavirus hanno già fatto il salto nella specie umana nel corso della storia, uno tra il XIII e il XV secolo, un altro tra il Settecento e l’Ottocento, un terzo intorno al 1890, e sono diventati tutti la causa di un banale raffreddore. È meglio tirare in ballo il complotto dei cinesi, di Bill Gates e dei poteri forti, tanto è tutto scritto su internet e poco importa parlare di spillover, cioè il passaggio dei virus dagli animali all’uomo. E così facendo si perderà una bellissima riflessione sul comportamento dei virus, la cui replicazione «è la più diretta conferma delle teorie darwiniane, che si basano fondamentalmente sulla sopravvivenza del più adatto all’interno di un certo ambiente»: alla fine si afferma una variante che gli consente di essere trasmesso meglio, perché «il virus è stupidissimo e fa miliardi di errori, ma ha un vantaggio: il mondo esterno gli seleziona quelli che sono utili per la sua replicazione, e butta via gli altri». Bisogna comunque tirare le orecchie all’editore (la Rizzoli) per la scelta del titolo e del sottotitolo, visto che la peste non è un virus.

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