
venerdì 17 luglio 2020
Wu Ming 4 - Stella del mattino

mercoledì 15 luglio 2020
Azorìn - Confessioni di un piccolo filosofo

venerdì 10 luglio 2020
Hilaire Belloc - La crisi della civiltà

giovedì 9 luglio 2020
Ilaria Capua - Il dopo

martedì 7 luglio 2020
Robert Harris - Monaco

Robert Harris aveva già raccontato il nazismo con Fatherland e raccontato il falso dei diari di Hitler; torna ora sul luogo del delitto con Monaco, romanzo che prende il nome dalla città in cui nel settembre 1938 la Conferenza dei capi di Stato si riunirono per convincere Hitler di non invadere la Cecoslovacchia (creata come Stato-cuscinetto alla fine della Prima Guerra mondiale) per la questione dei sudeti, popolazione di origine tedesca che abitava una zona molto importante dal punto di vista minerario. La Conferenza si concluse con la sospensione delle pretese di invasione-lampo da parte di Hitler in cambio di un’annessione pacifica, ma fu un momento in cui effettivamente l’Europa temette lo scoppio della guerra (se ne parla nel primo capitolo della saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard). È un romanzo ma non è un thriller, anzi assomiglia più a un saggio storico ricostruito in maniera quasi maniacale, che ricostruisce il lavoro certosino dei segretari, i protocolli e la trascrizione di documenti con le veline, le carte carbone, le maschere da scrivere. Sulla scena sfilano tutti i vari politici e capi di Stato del tempo: l’inglese Neville Chamberlain, Adolf Hitler, Benito Mussolini e il francese Édouard Daladier. Protagonisti sono due personaggi fittizi, l’inglese Hugh Legat, il terzo segretario del primo ministro Neville Chamberlain (il predecessore di Churchill), e il tedesco Paul von Hartmann, che lavora per il ministero degli esteri. I due si sono conosciuti durante gli studi a Oxford ma da sei anni non hanno più contatti, avendo scelto strade diverse (Paul, da socialista e nazionalista, si è iscritto al partito nazista): ora si incontrano di nuovo e si trovano quasi a fare fronte comune, perché Paul fa parte di un gruppo di congiurati che vorrebbero far insorgere parte dell’esercito contro Hitler e bloccarne le velleità imperialiste. Per questo chiede a Hugh di farsi tramite per consegnare a Chamberlain dei documenti dove sono stati trascritte le vere intenzioni del Führer. Attraverso questa avventura di spionaggio Harris rivaluta la figura di Chamberlain, da sempre accusato di posizioni eccessivamente accomodanti e pacifiste (il cosiddetto appeasement) perché, grazie al buon esito della Conferenza, il primo ministro riuscì a prendere tempo: l’Inghilterra non si era ancora ripresa dalla Grande Guerra e non era attrezzata a sostenere un’altra guerra, e l’anno seguente gli diede modo di approntare il riarmo. Viene da pensare che, se la Seconda Guerra Mondiale fosse scoppiata nel 1938, forse la Germania nazista non avrebbe incontrato ostacoli. Come saggio, Monaco dà degli interessanti spunti di riflessione, come romanzo funziona poco; anche l'aggiunta dell’antisemitismo nella sottotrama spionistica è banale, per quanto giustificata.
giovedì 2 luglio 2020
Paolo Mieli - In guerra con il passato

Qualche giorno fa lo storico Alessandro Barbero ha spiegato che abbattere le statue dei personaggi del passato che troviamo scomodi è un’idiozia inarrestabile perché, una volta rimosse le statue del generale sudista Lee, bisognerà rimuovere anche quelle del presidente Lincoln, il liberatore degli schiavi, il quale allo scoppio della guerra civile dichiarò che per lui la questione della schiavitù era del tutto secondaria; che se per salvare l’Unione doveva abolire la schiavitù, l’avrebbe fatto; e se invece per salvare l’Unione doveva mantenere la schiavitù, l’avrebbe mantenuta. Ecco, proprio le ambiguità di Abraham Lincoln sono al centro di un capitolo di questo In guerra con il passato di Paolo Mieli, libro che ragiona sull’uso del passato storico a nostro uso e consumo e sul fatto che la storia è una cosa complessa e ha molte facce. Un libro da recuperare, dunque, perché straordinariamente attuale. Ed è dura parlarne perché Mieli viene considerato da molti come il principale intellettuale organico al sistema, che sulla televisione di Stato intende spostare gli equilibri della divulgazione storica a destra o a sinistra a seconda di come la si voglia vedere. Per quanto non mi piaccia come giornalista, lo apprezzo molto come storico che rimette in discussione quello che sappiamo (o crediamo di sapere) attraverso un processo di revisionismo che dovrebbe essere il metodo comune di indagine, anche oggi in epoca di abbattimento di statue. Ecco quindi che Lincoln, eroe della Guerra di Secessione che combatteva per la causa abolizionista e antirazzista contro gli Stati schiavisti del Sud, in gioventù, ma anche durante la guerra fino al 1863, fu anche lui razzista e non del tutto convinto dell’abolizionismo: ribadiva spesso la sua convinzione che gli afroamericani fossero inferiori e una volta si chiese pubblicamente come fosse possibile che un gruppo di schiavi che aveva visto incatenati assieme «come pesci infilati su uno spiedi» potessero apparire come «la gente più allegra felice del mondo»; raccontava storielle razziste e, insieme alla moglie, amava molto i minstrels show, gli sketch in cui attori bianchi con il volto dipinto di nero ironizzavano sulla vita, il dialetto e la musica dei neri, rappresentandoli sempre come pigri, superstiziosi e stupidi. Oltretutto, non era affatto detto che l’economia schiavista, per quanto opinabile, fosse l’alternativa peggiore, vista la dichiarazione del South Carolina che paragonava con orgoglio la condizione degli schiavi del Sud a quella degli operai del Nord capitalista: «I nostri schiavi sono assunti a vita, non c’è fame per loro, non ci sono accattoni, non c’è disoccupazione e neppure superlavoro».
Da questo singolo capitolo capiamo dunque che spesso raccontiamo il passato condannando ciò che non ci piace e che soprattutto non ci torna attraverso un processo di semplificazione della complessità storica. Invece, spesso i personaggi positivi non sono così positivi, mentre i negativi non sono così negativi. Ecco quindi che il libro, come I conti con la storia dello stesso Mieli, si compone di una serie di articoli e saggi brevi che traggono spunto dalla recente pubblicazione di opere storiografiche per smontare luoghi comuni, pregiudizi e falsificazioni: solo così, dice l’autore, sarà possibile fuggire le banalizzazioni e le teorie del complotto. La ricerca storica va avanti e spesso demolisce pezzi di passato, come provano gli scavi archeologici israeliani effettuati dopo la Guerra dei Sei Giorni per cercare conferme della storia biblica: si scoprì che le città che si ritenevano enormi in realtà erano piccolissime, che a quell’epoca gli ebrei erano tribù di pastori primitivi senza nessuna unità politica, Gerusalemme era un villaggio, e Davide e Salomone, ammesso che siano esistiti, erano dei capitribù. Il processo di revisione si deve quindi applicare a tutta la storia umana, a partire da quella classica: il famosissimo processo contro il proconsole Verre che diede fama a Cicerone in realtà è una questione molto più complessa e meno limpido di quello che ci presenta il famoso oratore a proprio uso e consumo: il corrotto governatore di Sicilia era già un uomo vinto appartenente al ceto legato a Silla, ormai declinante nella Roma del tempo. Anche quello che crediamo di conoscere su Augusto è frutto di una ben precisa politica culturale volta a promuovere Ottaviano come l’amico dell’Italia contro Antonio amico dell’Oriente. Nell’Atene ormai in declino, sul punto di soccombere a Filippo di Macedonia, gli uomini di maggior valore erano invece divisi in un dilemma di non facile soluzione: Demostene rifiutava di accettare l’inevitabile e invita i suoi concittadini a resistere, mentre Isocrate pensava che solo abbracciando la causa macedone la città potesse avere ancora un futuro. Un problema, questo della fazione con cui schierarsi, piuttosto diffuso e non così facile da districare, visto il cambiamento delle variabili e delle circostanze: basti pensare allo storico inglese Thomas Carlyle che, nel 1871, esaltava la formazione del Reich tedesco come garanzia di pace, con «la nobile, paziente, pia e solida Germania» avviata a dominare l’Europa al posto della «nevrotica, vanagloriosa, gesticolante, rissosa, inquieta e ipersensibile Francia». Una posizione incredibile, alla luce dell’opposizione anglo-tedesca che avrebbe caratterizzato l’Europa nella prima metà del Novecento.
Nessuno si aspetterebbe che in Occidente spesso gli ebrei si rivolgessero all’Inquisizione per avere maggiori garanzie rispetto al vescovo della propria città, così come in pochi si interrogano sulle origini dell’antisemitismo: è una conseguenza dell’affermazione del cristianesimo oppure era presente anche nel mondo pagano precristiano? Ma anche la vicenda dei martiri di Otranto va inquadrata nelle guerre che infuriavano in Italia tra il papa e il re di Napoli da una parte e Firenze e Venezia dall’altra, e nel rifiuto della cittadinanza di Otranto, abbandonata dagli alleati, di arrendersi, non di abiurare e convertirsi all’islam. Non manca una sezione dedicata all’Italia, con la trattazione della mania per i complotti che c’è dalle nostre parti (molto più che negli Stati Uniti) e del florilegio di teorie sui servizi segreti deviati negli anni di piombo, pur nell’assenza di prove dirette o indirette che coinvolgano rappresentanti dello Stato (per non parlare della teoria del Grande Vecchio); vengono passati in rassegna gli scandali dell’Italia unitaria, tanto che già nel 1869 la regina Vittoria scriveva che l’Italia era una nave prossima al naufragio, scandali di cui è parte integrante la trattativa Stato-mafia che non è una novità della Prima Repubblica ma una costante sin dai primordi dello Stato unitario, visto che l’Italia si formò proprio attraverso una trattativa con quella che oggi chiamiamo mafia da parte della sinistra storica, con una quantità di affari loschi e imbarazzanti. Mieli arriva perfino in Russia con il tanto chiacchierato Rasputin, eliminato perché scomodo e avversato da una certa parte politica favorevole alla guerra e avversa alla pace separata con la Germania (cosa che poi fece Lenin); un capitolo è invece dedicato all’educazione religiosa di Stalin, che costituisce addirittura la chiave grazie alla quale riuscì a mobilitare il popolo russo attraverso un’alleanza con i religiosi. Il capo della rivoluzione atea e comunista che trova un collante nella religione: una cosa veramente impensabile se si ragiona in maniera schematica.
mercoledì 1 luglio 2020
Friedrich Sieburg - Robespierre
