sabato 29 agosto 2020

Valérie Morisi - Riscrivere la leggenda

 
Che ci si creda o no, anche il Tolkien minore crea saggistica di primo livello. È il caso di questo Riscrivere la leggenda. Tolkien e il medievalismo di Sigurd e Gudrún, scritto dalla bravissima e attentissima Valérie Morisi su una delle opere più sconosciute del Professore di Oxford, La leggenda di Sigurd e Gudrún, uscito una decina di anni fa a cura del figlio Christopher ma risalente agli anni Venti-Trenta e facente riferimento al corrispettivo norreno del ciclo tedesco di Sigfrido e dei Nibelunghi. La leggenda in questione presenta tutti gli elementi tipici della mitologia nordica: il drago Fafnir, il dio Odino, la valchiria Bynhild, la spada spezzata e riforgiata, il tesoro e l’anello magico su cui grava una maledizione, oltre a temi scabrosi e cruenti come l’incesto, l’omicidio di bambini e il sacrificio umano. Protagonista della vicenda è Sigurd, il Sigfrido germanico, che uccide il drago, conquista il tesoro, risveglia la valchiria, poi sposa Gudrun ma conquista Brynhild per conto del cognato Gunnar, finché lo scontra le due donne non fa precipitare le cose (Brynhild esorta il marito Gunnar a vendicarsi di Sigurd per il tradimento nei suoi confronti). Il libro della Morisi non affronta le somiglianze e le differenze fra Tolkien e quella che è forse la rielaborazione più famosa del mito in questione, la tetralogia teatrale di Wagner, ma analizza il modo in cui Tolkien riscrive il mito partendo da diverse fonti (la saga dei Volsunghi, l’Edda) cercando di uniformare le varianti, addirittura colmandone le lacune in maniera creativa e nel tentativo di conferire verosimiglianza psicologica al tutto. Se la storia quindi è quella, Tolkien carica l’eroe Sigurd di tratti quasi cristologici, conformi alla sua fede cattolica ma impossibili da riscontrare nello scenario pagano dell’originale norreno. Inoltre, dal punto di vista stilistico, il professore di Oxford cerca di riprodurre in inglese moderno il metro e il suono dell’originale norreno, utilizzando il metro allitterativo per ottenere una poesia molto più arcaica e scabra (tutte cose che sarebbero ritornate in alcune poesie del Signore degli Anelli). D’altra parte, come ricorda Douglas Anderson nell’introduzione a Lo Hobbit annotato, lo stesso Tolkien diceva che la sua tipica reazione alla lettura di un’opera medievale non era quella di imbarcarsi in uno studio critico o filologico su di essa, ma piuttosto di scrivere un’opera moderna in quella stessa tradizione. Le fonti del passato avviavano in lui un processo creativo di continuazione e riscrittura: non siamo ancora alla reinvenzione del mito, come Tolkien avrebbe fatto in seguito, ma a uno stadio intermedio, che mostra il passaggio dalla traduzione e dallo studio di testi antichi alla loro riscrittura e, allo stesso tempo, la perfetta sintesi tra il medievalismo più strettamente legato alla storia e la nascente letteratura fantastica. In fondo, come diceva lo stesso Tolkien, sono gli adulti a essere più bisognosi di fiabe.

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