
Uno degli aspetti più interessanti di Tolkien è che, oltre alla sua attività di scrittore, narratore e saggista, si è distinto come pittore, contribuendo a disegnare, illustrare e dipingere oggetti, paesaggi e scenari che lui stesso andava elaborando. Qualcuno obietterà che si tratta pur sempre di un pittore dilettante, privo di tutte quelle capacità dei pittori professionisti, ma la cosa mi interessa poco: l’arte tolkieniana continua ad affascinare con la unicità e poesia, prova ne è questo J.R.R. Tolkien. I tesori, curato da Catherine McIlwaine e versione “light” del più corposo J.R.R. Tolkien. Il creatore della Terra di Mezzo, catalogo di una mostra tenuta alla Bodleian Library di Oxford. Racchiude una serie di materiali d’archivio di Tolkien, bozzetti, schizzi a matita, acquerelli paesaggistici, disegni a penna e inchiostro, lettere e mappe, oltre a foto di vita privata che ci fanno entrare nella sfera personale di Tolkien e della sua famiglia. Si tratta dunque di un libro che «celebra l’eccezionalità di Tolkien come autore – forse il più grande scrittore di storie fantastiche dell’era moderna –, ma ribadisce anche l’importanza dei molti aspetti differenti della sua vita: il filologo, l’inventore di lingue, l’artista, il creatore di mondi, l’accademico, l’insegnante, il marito e il padre furono ruoli che, combinati fra loro, produssero uno speciale insieme di talenti, un insieme che guidò la straordinaria immaginazione di Tolkien verso la creazione della Terra di Mezzo».
Pur senza avvicinarsi alla profondità di un’opera come L’arte di Tolkien di Roberta Tosi, ricorda più il vecchio Immagini, ormai fuori catalogo. I testi sono ridotti all’osso ma riescono comunque a dirci qualcosa sul Tolkien pittore: in fondo, chi di noi non ha mai sognato a occhi aperti guardando le illustrazioni che hanno sempre corredato Lo Hobbit, anche nelle versioni in italiano? Purtroppo Il Signore degli Anelli non ha mai avuto un comparto iconografico paragonabile, anche se in realtà Tolkien ha prodotto materiale anche in questo caso: schizzi, paesaggi, sovracoperte, mappe, in alcuni casi anche veri e propri oggetti metanarrativi, come nel caso del Libro di Mazarbul che Gandalf legge nella camera sepolcrale di Balin a Moria. Una produzione che ci dice quanto attento e scrupoloso Tolkien fosse nel cesellare il suo mondo secondario nel minimo dettaglio: basti pensare alla precisione nel ricreare mappe coerenti e credibili, nelle quali la scala era di fondamentale importanza (le distanze variano in base alla razza, perché un uomo che è alto ci mette di meno a percorrere un tratto di strada rispetto a uno hobbit che è basso). Ovvio che in questo processo creativo le lingue svolgessero una parte a dir poco fondamentale: da filologo, Tolkien pensava che le lingue dovessero avere vita propria e creare storie e leggende per le creature che le popolavano, cioè che prima venissero i linguaggi e poi i popoli che li utilizzavano.
Molto interessante è la parte dedicata al Silmarillion, opera che Tolkien cercò di portare a termine per tutta la vita ma pubblicata postuma nel 1977 a cura del figlio Christopher Tolkien: molti dei racconti del Silmarillion si possono ritrovare nelle prime versioni scritte tra il 1916 e il 1920 e, «nonostante ci abbia lavorato per tutta l’età adulta, la straordinaria visione del legendarium fu tanto forte da rimanere per lo più incontaminata da influenze esterne per un periodo di oltre sessant’anni». Uno sforzo onnicomprensivo, che addirittura portò Tolkien a trasformare dei semplici disegni astratti che aveva fatto su fogli di giornale in decorazioni per le ceramiche della civiltà númenoreána della Seconda Era della Terra d Mezzo. Forse il Professore «non fu capace di compiere gli ultimi passi che potevano mettere il punto finale alla sua opera perché, in un certo senso, questo avrebbe portato alla chiusura del rapporto con loro. Le molte opere incomplete, tra cui Il Silmarillion e le lingue inventate, rimasero incomplete per scelta, perché Tolkien non voleva che il suo lavoro finisse».