domenica 13 dicembre 2020

Carlo Rovelli - Helgoland

Dopo aver indagato i misteri della relatività, che ha cambiato il nostro modo di concepire lo spazio e il tempo, Carlo Rovelli si sofferma sulla meccanica quantistica, l’altra metà delle grandi scoperte del XX secolo che ha cambiato il modo in cui pensiamo le cose. Questo Helgoland prende il nome dall’omonima isola nel Mare del Nord dove nel 1925 Werner Heisenberg ha concepito il germe della sua idea della teoria dei quanti e «ha sollevato un velo fra noi e la verità; oltre quel velo è apparso un abisso». Tutto è nato come una semplice equazione di otto caratteri aggiunta alla fisica classica: un’equazione che dice che moltiplicare posizione per velocità è diverso che moltiplicare velocità per posizione e che ha distrutto l’immagine della realtà fatta di particelle che si muovono lungo traiettorie definite. Anzi, la meccanica quantistica ci ha detto che il mondo non è continuo ma granulare, che la realtà è fatta di relazioni prima che di oggetti: non parla di “cosa c’è” ma che «le cose fisiche hanno solo proprietà relative ad altre cose fisiche, e che queste proprietà ci sono solo quando le cose interagiscono». Basterebbe pensare anche solo semplicemente agli elettroni, piccole particelle che rimbalzano ma he allo stesso tempo sono onde: si separano, passano per due posti nello stesso momento e quando si reincontrano sono diverse. Le certezze della fisica classica sono solo probabilità: il mondo ci sembra determinato perché i fenomeni di interferenza quantistica si perdono nel brusio del mondo macroscopico, e ciò che noi vediamo sono solo i valori mediati fra tantissime piccole variabili, ma le predizioni sono difficili da fare. La teoria dei quanti ha posto le basi della chimica, il funzionamento degli atomi, dei solidi, dei plasmi, il colore del cielo, i neuroni del nostro cervello, la dinamica delle stelle, l’origine delle galassie, e ha portato ai computer e alle centrali nucleari. Eppure è una teoria resta tenebrosa, misteriosa e «sottilmente inquietante», tanto che Rovelli dice non sia un caso che il regista Murnau abbia girato scene di Nosferatu proprio a Helgoland.

Questo ribaltamento riguarda anche la relazione tra la nostra vita mentale (che sperimentiamo dall’interno in prima persona) e il mondo fisico (che descriviamo dall’esterno): se il mondo è relazione, «allora non esiste descrizione del mondo dall’esterno. Le descrizioni del mondo possibili sono, in ultima analisi, tutte dal suo interno, [] in prima persona. [] Il mondo visto dal di fuori non esiste: esistono solo prospettive interne al mondo, parziali, che si riflettono a vicenda. Il mondo è questo reciproco riflettersi di prospettive». È quindi da rivedere anche l’opposizione soggetto-oggetto: il famoso caso del gatto di Schrödinger, il problema cioè se il gatto sia sveglio o addormentato, deve essere letto alla luce di una serie di variabili, prima fra tutte l’interazione fra osservatore e sistema: il gatto è sia sveglio che addormentato, perché solo l’interazione tra sistemi fisici rende possibile la reciproca informazione. Costruiamo delle immagini della realtà che però non sono mai definitive, sappiamo che ci sono ancora delle cose che non conosciamo: il fascino della scienza è costituito dal fatto che siamo sempre di fronte a un aspetto misterioso, nella consapevolezza che il nostro sapere è limitato. Chi crede di sapere tutto sbaglia: se già in Sette brevi lezioni di fisica e L’ordine del tempo Rovelli ci aveva regalato visioni spiazzanti cercando di aprirci alla meraviglia del cosmo, qui si oppone decisamente al dogmatismo citando la polemica nella Russia sovietica che contrappose Bogdanov e Lenin: il primo fautore di una cultura nuova e aperta, il secondo ancorato a una concezione di custodia dell’avanguardia rivoluzionaria depositaria della verità. Inutile dire che il dogmatico Lenin congelerà la Russia rivoluzionaria in un blocco di ghiaccio che non evolverà più, sclerotizzandosi. È possibile che anche la scienza si faccia metafisica, e faccia derivare tutto da un principio primo: Rovelli invece dice che la fisica quantistica ci ha dimostrato che tutto esiste solo in dipendenza da qualcos’altro, in relazione a qualcos’altro. Esattamente come le parole, che esistono solo per formare frasi da utilizzare nel linguaggio. Proprio in questa prospettiva si inserisce la lettura che Rovelli fa del pensiero del monaco buddista Nāgārjuna, il quale dice che le cose non esistono in sé, non hanno un’essenza proprio, ma solo in rapporto con qualcos’altro, specchiandosi reciprocamente.

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