Siete alla ricerca di un bel romanzo edificante, di una storia d’amore pura
e virginale come si facevano una volta? Allora Paul e Virginie potrebbe fare per voi. Scritto da Jacques-Henri
Bernardin de Saint-Pierre alla fine del Settecento e ripubblicato ora da Gondolin
in un’edizione impreziosita da illustrazioni d’epoca, è ambientato in un’isola
remota e incontaminata dell'Oceano Indiano, l'Île de France (Mauritius), dalle parti del Madagascar, all’epoca
colonia francese. I due protagonisti, entrambi figli di madri abbandonate (una giovane
vedova e l’altra abbandonata dall’uomo che l’ha messa incinta) e cresciuti
dalle due donne, nel frattempo divenute grandi amiche per la comune situazione, crescono insieme nell’idillio
naturalistico dell’isola fra banani, nasturzi e tatamachi, e ovviamente si
amano vicendevolmente e castamente finché non intervengono gli obblighi e le
convenzioni sociali dell’odiosa civiltà occidentale: Virginie, avendo una
parente ricca e quindi nobile, deve andare in Francia e sposarsi, un destino
cui nessuno può sottrarsi (infatti viene costretta a partire addirittura dal
governatore locale). Il povero Paul, invece, che non è nobile ma è addirittura
un bastardo, non ha alcuna possibilità di fortuna in Francia. Sarà proprio
questo a trasformare l’idillio dei due protagonisti in dramma, portando a una
tragica conclusione. Sostenitore de pensiero di Rousseau e del mito del buon
selvaggio, Bernardin de Saint-Pierre è sinceramente convinto che sia possibile
vivere felici e innocenti in completa comunione con la natura e circondati
dalla devozione cristiana e dal classico corollario di virtù che ne deriva
(grazie all’attenzione verso gli infelici, le famiglie di Paul e Virginie
ottengono addirittura il rispetto dei ricchi e la confidenza dei poveri). Per
questo contrappone alla classista e schiavista Francia del Settecento la
perfetta eguaglianza esistente alle Mauritius, in cui i padroni sono buoni e
timorati e i servitori negri sono devoti e servizievoli, e insiste con
descrizioni naturalistiche piene di turgore e traboccanti di sentimenti (gli
alberi, i ruscelli, i fiori, le scimmie, gli uccelli). «Non è possibile che un
uomo cresciuto a contatto con la natura capisca le perversioni della società»:
questo spiega il narratore della vicenda, molto scettico sulla possibilità che
i due mondi possano trovare una conciliazione. La critica nei confronti
dell’Ancien Regime non potrebbe essere più netta: solo i nobili possono
accedere alle cariche e ai corpi scelti, i re sono mediocri e si lasciano
consigliare solo da aristocratici senza valore, mentre gli uomini capaci devono
chiedere la loro protezione e mettersi a disposizione delle loro ambizioni e
dei loro vizi. Direi che questo è un aspetto ben più interessante del
sentimentalismo melassoso e sospirante sparso a profusione sulle pagine del
tragico amore di due anime disgraziate. Su Virginie che muore in odore di
santità lasciandosi annegare piuttosto che togliersi il vestito per non perdere
la sua virtù (con il mare che restituisce il suo corpo sepolto nella sabbia,
quasi volesse «rendere l’estremo tributo al suo pudore su quelle stesse spiagge
che la ragazza aveva onorato con la sua innocenza») è meglio sorvolare.
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