martedì 8 giugno 2021

Arturo Pérez-Reverte - Il Club Dumas

 

Era il 2003 quando scoprii Arturo Pérez-Reverte, divorando il suo Il Club Dumas in soli tre giorni. Poi ho letto molti altri suoi romanzi, ma il primo amore non si scorda mai: un thriller letterario e libresco che mi sono riletto con estremo gusto e soddisfazione e ho maturato la convinzione che non sia invecchiato di un giorno. Il protagonista, Lucas Corso, è un cacciatore di libri mercenario per conto di ricchi collezionisti in cerca di edizioni introvabili o manoscritti unici. È un cinico solitario con l’hobby dei giochi da tavolo sulle battaglie napoleoniche (un suo avo è stato granatiere e fervente bonapartista): ovviamente, essendo un cacciatore di libri, ha una cultura immensa e la letteratura è il suo universo di riferimento, ma è anche un lavoro e questo si tramuta per lui in un rapporto di odio/amore che aumenta il suo cinismo. Corso da una parte si ritrova davanti al misterioso suicidio per impiccagione di un editore di ricette gastronomiche con la passione per i romanzi d’appendice che possedeva (e aveva tentato di vendere) una copia manoscritta de “Il vino D’Angiò”, 42° capitolo de I tre moschettieri di Alexandre Dumas; dall’altra invece viene incaricato da un altro cliente di reperire tutte le tre copie esistenti di un diabolico testo di occultismo in grado di evocare il demonio, Le nove porte del regno delle ombre stampato a Venezia dal tipografo Aristide Torchia bruciato sul rogo a Campo de’ Fiori nel 1667. Quindi nel primo caso deve stabilire l’autenticità del Dumas per conto del suo nuovo acquirente, nel secondo deve recuperare le tre copie del volume per stabilire quale sia l’originale e quali le copie (pare che l’originale sia stato scritto da Belzebù in persona).

Tra indagini, omicidi e depistaggi fra Toledo, Lisbona, Parigi e Meung, mentre Corso è accompagnato da una misteriosa ragazza (diavolo o angelo custode?) con un’ottima cultura e uno strano senso dell’umorismo, le due vicende si intrecciano in modo tanto oscuro che non si capisce bene quale sia la trama principale, se quella legata al capitolo di Dumas o quella della ricerca del libro esoterico. Anzi, Corso deve affrontare una serie di avventure rocambolesche simili a quelle affrontate dal giovane d’Artagnan alle prese con una Milady e un Rochefort che lo conducono nelle spire del Club Dumas del titolo, una serie di fanatici de I tre moschettieri che vivono in una contemporaneità plasmata su ruoli e situazioni del romanzo, trasformandola (e trasformando quella di chi incontrano) in un gigantesco feuilleton vivente simile a un gioco di ruolo. Questo non è un particolare di poco conto, visto che il film che da questo romanzo è stato tratto, La nona porta di Roman Polanski, non funziona proprio perché elimina del tutto la faccenda del Club Dumas e conserva solo l’indagine esoterica, quella di più facile presa per lo spettatore (che magari non conosce I tre moschettieri), e quindi tradisce profondamente il romanzo di Pérez-Reverte.

Siamo nell’ambiente dei bibliomani fanatici, gente disposta a tutto per mettere le mani su un manoscritto o una prima edizione e che fonda cose tipo la Confraternita degli Arpionieri di Nantucket; per non parlare del libraio che ha imparato a scrivere mentre suo padre gli dettava i testi di Azorín e utilizza il suo periodare con molti e punti a capo per sedurre le clienti nel retro della sua libreria dove conserva i classici erotici; o il ricorso alla terminologia militare delle battaglie napoleoniche per descrivere Corso che fa cilecca a letto. Anche il punto di vista del personaggio utilizzato per raccontare la storia è assolutamente centrato e motivato, alla luce della costruzione generale dell’opera. Numerosissime sono le dissertazioni letterarie sul feuilleton, sul romanzo popolare o d’appendice, sui cattivi più memorabili, sugli incipit più folgoranti, su Dumas, Paul Féval, Ponson du Terrail, Arthur Conan Doyle ed Edgar Allan Poe: tutto questo sancisce il potere dei libri nella vita degli uomini e la creazione di una dimensione parallela in cui verità e finzione coesistono, esattamente come i libri che aprono all’abisso e all’inconcepibile. La stessa ragazza che accompagna Corso si presenta come Irene Adler, l’unica donna a essere riuscita a far innamorare di sé Sherlock Holmes, e sul suo passaporto riporta come indirizzo di casa il 221b i Baker Street (la casa di Sherlock Holmes).

Tutto questo fa de Il Club Dumas un parente molto prossimo de Il nome della rosa di Umberto Eco (tra l’altro citato esplicitamente): come Guglielmo da Baskerville, Corso trova i moventi dei fatti negli altri testi, come se i testi fossero dei misteri ermetici da decifrare, perché “i libri, spesso, parlano di altri libri”. E dal gioco intertestuale parte quello bibliografico: sono infiniti i dettagli e i riferimenti di una sterminata bibliografia di testi più o meno antichi (e più o meno esistenti), dentro cui è possibile trovare ragioni e moventi del reale. Leggetelo, magari scoprirete che anche la vostra vita è un grande ed entusiasmante feuilleton.

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